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Ora Gianfranco prenda le distanze dai Tullianos

Luciano Gaucci (S), Elisabetta Tulliani (C) e Giancarlo Tulliani

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La Guardia di Finanza che torna in via della Scrofa, documenti veri o falsi che riconducono la casa di Montecarlo a Giancarlo Tulliani, il blitz alla Camera contro Cosentino andato a vuoto. Non è stata una bella giornata per Gianfranco Fini e questo sinceramente non fa piacere. Ma ce ne saranno altre così, forse addirittura peggiori. Non è difficile immaginarlo. Perché gli otto punti con cui il presidente della Camera ha dato la sua versione sulla casa venduta dal suo partito a Montecarlo scricchiolano, mostrano crepe che appaiono ogni giorno più evidenti. Che cosa disse Fini con quel comunicato suggeritogli dall'avvocato Bongiorno? Riassumiamo per brevità. Egli sostenne che Tulliani seppe che An stava per vedere l'appartamento ricevuto in eredità dalla contessa Colleoni, Fini venne a sapere dai suoi collaboratori che quelle quattro mura versavano in pessime condizioni e dunque autorizzò il tesoriere di An alla vendita. Nessuno dei protagonisti della vicenda ha mai confermano questa versione, e fin qui questo vale più di molte precisazioni o rettifiche. Inoltre che qualcosa in quell'affare puzzasse se ne accorse anche lo stesso notaio che redisse l'atto di vendita (sotto costo) quando si rese conto che compratori e venditore non si erano mai visti prima di quel giorno del luglio 2008 nel suo ufficio. Sarebbe il caso che il presidente della Camera fornisse una versione più aderente alle verità o quantomeno più credibile o almeno rispondesse a qualcuno dei mille interrogativi che sono stati sollevati negli ultimi quaranta giorni. E sarebbe anche opportuno lo facesse prima che qualcuno dei protagonisti della vicenda sia costretto a smentirlo. Gianfranco potrebbe parlare già oggi. Se insisterà sulla linea fin qui seguita dirà che le accuse sono tutte false, che si tratta di un attacco contro di lui, sono manovre di palazzo e similaria. Potrebbe essere tutto vero ma potrebbe non bastare alla pubblica opinione. D'altro canto la stessa reazione spoporzionata e spropositata di Fini ieri che ha persino chiamato in causa i servizi segreti (che invece non sono gli unici capaci di acquisire atti nel paradiso fiscale di Santa Lucia) legittimano a pensare che la morsa si sta stringendo. Un leader si assumerebbe le proprie responsabilità fino in fondo. O almeno darebbe quella sensazione. Fin qui è affare soprattutto della magistratura. Poi c'è una questione politica. E cioé anche a prendere per buoni gli otto punti e anche confermando l'assoluta buona fede e onestà di Fini, resta il messaggio che è passato. E cioè che il presidente della Camera sia nelle mani del clan Tulliani. Vive a casa loro, è nel loro stato di famiglia, la suocera lavorava alla Rai, il cognato ci voleva lavorare, un altissimo dirigente di viale Mazzini ha confermato le pressioni. Ci fermiamo qui. Perché tanto basta. Tanto basta a immaginare che Fini sia un leader condizionato, se non addirittura dimezzato tanto che i suoi avversari stanno preparando la prossima campagna elettorale all'insegna del «Voti Gianfranco e governa Elisabetta». Di fronte a questa situazione, il presidente della Camera non ha molte strade. Una, quella che appare evidente ormai anche a molti dei suoi più stretti collaboratori, è che debba prendere le distanze dai Tullianos. Non si tratta ovviamente di abbandonare la compagna, madre di due sue figlie, donna della quale Fini sembra essere innamorato profondamente. Si tratta di altro. Massimo D'Alema, all'epoca di affittopoli, lasciò la casa di un ente che abitava sotto costo perché, spiegò, un leader di un grande partito non può AVERE ombre. Disse precisamente: «Il segretario di un grande partito popolare non può permettersi di essere esposto neppure ad un sospetto». Ora Fini non sarà alla guida di un grande partito, ma se vuole essere almeno un leader non può consentire che ci siano dubbi su di lui.

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