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"I ministeri? ce li teniamo"

Il sindaco di Roma Gianni Alemanno

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Scissioni, colonnelli che cambiano generali, crisi di governo: Gianni Alemanno non ci sta. Il sindaco di Roma non intende arrendersi. Lui, ostinato come al solito, lavora per unire. Così, se introducendo l'intervento sul palco di Atreju di Pasquale Viespoli, la giovane Carolina Varchi provoca i suoi coetanei in platea ricordando che «chi ci conosce lo sa, noi quando si tratta di confronto non vogliamo farci mancare nulla. Ecco perché sul palco c'è addirittura un esponente di Futuro e Libertà», lui - quando il «dissidente» finiano finisce di parlare - stupisce tutti. «Voglio fare un commento a quanto detto da Viespoli», dice. Tutti sono pronti a registrare un nuovo scontro. Ma si sbagliano. Non stavolta. Non con Gianni: «Nelle sue parole non vedo né i motivi di una scissione, né - meno che mai - quelli per una crisi di governo. Dobbiamo recuperare l'unità del centrodestra e andare avanti», spiega. I suoi ragazzi - e sono tanti, tutti con le maglie rosse del campus «Plus ultra 2010» - lo applaudono. Viespoli tira un sospiro di sollievo. Alemanno continua il suo discorso. Il fil rouge è sempre lo stesso: il sindaco di Roma vuole chiarire una volta per tutte che serve a unire - paradossalmente - anche il federalismo. «È una riforma troppo importante per lasciarla nelle mani degli addetti ai lavori - spiega - Troppo importante, soprattutto, per lasciarla alla Lega, a Bossi e ai suoi». Alemanno, davanti ai suoi ragazzi, nel centro della sua Roma ha qualcosa da dire al leader leghista. La battuta sui ministeri non l'ha gradita: «Spostarli da Roma sarebbe un errore, soprattutto per il Governo che con i dicasteri sparsi sul territorio nazionale sarebbe in difficoltà, ma anche per la sicurezza. Sarebbe inefficiente e molto costoso. Non esiste alcun esempio come quello descritto da Bossi e dalla Lega», spiega. E poi, a sentire la sua, spesso sono più i problemi che creano, che quelli che risolvono: «Bisogna lavorare per diminuire la burocrazia, piuttosto». Anche sul federalismo Gianni non risparmia l'alleato: «Con questa riforma Roma ci guadagna perché in termini di trasferimenti ora diamo allo Stato molto di più di quanto riceviamo. Le balle su Roma ladrona le rispediamo al mittente perché sono completamente sbagliate», afferma. Nell'Italia federalista Roma sarà un «elemento unificante». L'idea che Alemanno propone è quella di una città «meno centralista, ma più capace di essere capitale di uno Stato federale a partire dai valori e in grado di trainare i territori». Nell'ambito di questa riforma la Città Eterna «dovrà sempre più spostare il proprio valore sull'elemento simbolico, produttivo e culturale perché sia sempre di più una grande capitale internazionale, in grado di comunicare quei valori universali che garantiscano la possibilità di governare la globalizzazione dei popoli e delle identità e non quella degli utili e dello sfruttamento». Alemanno gioca in casa, è vero. Ma parla da leader. E ha un unico obiettivo: unire. Non sulla base di contrattualismi sociali, ma a partire da una matrice comunitaria. «Sarà l'identità territoriale a fare da tramite per tenere insieme la Nazione e non gli interessi dei singoli gruppi a dividerla - spiega - Per stare insieme bisogna aumentare il tasso di appartenenza e combattere la concezione statalista». Nel federalismo che Alemanno ha in mente sarà la forza dell'identità, il sentirsi parte di un popolo e di una nazione a sostituire tutti quei meccanismi burocratici e di controllo che tengono fermo il Paese. Serve responsabilità. «Del resto questa riforma ha introdotto la ineleggibilità assoluta per gli amministratori che hanno fatto fallire i propri enti locali», ricorda. Il sindaco di Roma sa che non sarà facile. Ma se si parla ai giovani - spiega - «bisogna andare (come recita lo slogan di Atreju, ndr)"dritti al cuore". Il federalismo - ammatte - è la riforma più importante che abbiamo di fronte. Deve servire a unire l'Italia, non a dividerla e se facciamo male rischiamo un contraccolpo grandissimo». Alla fine del dibattito Alemanno abbraccia Viespoli e gli sussurra qualcosa all'orecchio. Uno dei ragazzi con indosso la maglia rossa fa ad alta voce il pensiero che stanno facendo tutti gli altri: «Chissà che se stanno a dì!».

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