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Bossi fa il moderato: "Non vedo le urne"

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Il segretario della Lega Nord Umberto Bossi

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Prudenza. Questa la parola d'ordine. Le vacanze sono finite. In questi giorni il destino del governo si decide sul serio, e non è più tempo di anatemi istintivi o diktat urlati a una delle tante feste di partito in una serata estiva. Umberto Bossi lo sa. Misura e moderazione non sono certo le sue virtù migliori ma, questa volta, il Senatùr ha deciso di adeguarsi. La sua analisi sull'evoluzione dei rapporti tra il Pdl e i finiani di Futuro e Libertà è cauta: «Non mi aspetto niente - dice il leader del Carroccio - Stiamo aspettando di sentire che cosa dice Fini». Il presidente della Camera parlerà domenica alla festa Tricolore di Mirabello. Bossi aspetterà, dando seguito alla linea - decisa insieme a Berlusconi - di non dare peso agli ultimi tentativi dei falchi finiani di alzare la tensione. Stavolta non sarà il Senatùr a farlo. In questa situazione così delicata per la maggioranza, il leader del Carroccio ha deciso di confermare il ruolo di mediazione che la Lega si è ritagliata nella partita tra il premier e il presidente della Camera: lui «ha chiesto di non incontrarci prima» di Mirabello, ma - sottolinea - «ha visto Cota (presidente della Regione Piemonte in quota Lega, ndr)». L'Umberto non perde la calma nemmeno quando gli si paventa il rischio di elezioni anticipate: «No, per adesso non le vedo», rassicura. Anche se a chi gli ricorda le considerazioni del presidente della Repubblica , Giorgio Napolitano, sull'evoluzione «più benigna» dei rapporti all'interno della maggioranza, lui dice: «Beh, io sarei più cauto». Già, cautela. Il Senatùr è quasi irriconoscibile. Su una cosa, però, non transigge: sulla riforma federalista i toni sicuri sono d'obbligo. «Quella la attuiamo comunque - spiega - l'abbiamo già messa in cassaforte». L'attuazione dipende infatti dai decreti delegati e «anche se cadesse il governo - sottolinea il leader del Carroccio - il Consiglio dei ministri si riunisce ugualmente». Dal giorno della «rottura» tra Fini e Berlusconi, l'Umberto - volente o nolente - ha dovuto rivedere le sue posizioni. Era fine luglio e la sua reazione a chi parlò di crisi di governo fu subito più chiara che mai: Bossi, salendo in macchina, alzò il dito medio e andò via. Da quel momento in poi la linea della Lega era inequivocabile: così non si va avanti. Elezioni. Il 31 luglio, da Codico, sul lago di Como il Senatùr respingeva ogni possibile idea di «ammucchiata»: «Impediremo il governo tecnico, siamo in venti milioni», diceva preparando il suo popolo al peggio. «A settembre faranno la mozione di sfiducia a Berlusconi. Peggio per loro se passa, la Padania non la farà passare. Reagiremo con determinazione», assicurava. Anche sul presidente della Camera era meno cauto: «Io Fini lo avrei cacciato subito», diceva. Mentre il premier cercava di tessere un'improbabile tela con l'Udc, gli strappi del leader del Carroccio erano quotidiani: «Noi con Casini non ci stiamo», «Casini peggio di Fini», «Casini è uno stronzo», tuonava in un caldissimo agosto. La svolta a Villa Campari, dieci giorni fa. Berlusconi è riuscito a convincere il suo alleato più prezioso: «Niente elezioni. Si va avanti così, senza l'Udc», ha assicurato dopo l'incontro il Senatùr. Indicative anche le parole «riconciliatorie» di Roberto Calderoli. Il ministro per la Semplificazione normativa è intervenuto in difesa del presidente della Camera («vittima del fuoco amico») e del nuovo gruppo finiano («I precedenti ci sono, non sarebbe uno scandalo»). Nessuno sa come andrà a finire. Bisogna essere pronti a tutto. Certo vedere Bossi «moderato» - quello sì - spaventa.

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