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Mettiamo da parte le ipocrisie Gheddafi serve all'Italia

Gheddafi con sulla divisa la fotografia di Omar al-Mukhtar, eroe anti-italiano

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Quando, nel giugno del 2009, si aprì la porta dell'aeroplano, sulla scaletta sembrò di vedere la controfigura di Tomas Milian, memorabile «Er monnezza». Mano a mano che s'avvicinava  vedemmo anche una specie di foto che teneva al bavero della giacca di una divisa militare sulla quale non c'è più spazio nemmeno per appiccicare un francobollo. Questa volta sono attesi anche i cavalli, con un notevole gusto per la scenografia. Ma attenti a non cascarci: Muammar Gheddafi non è affatto un soggetto da cronache folcloristiche, semmai un partner rilevante, per il nostro Paese. Diciamo che, a turno, sono tutti bravi a ricordarne le malefatte, ma poi, a turno, sono tutti pronti ad entrare nella sua tenda, non necessariamente con la schiena dritta. C'entrò Massimo D'Alema, da uomo di governo, e ne uscì pronunciando parole dolci come il miele. I soldi del fondo sovrano libico oggi soccorrono Unicredit, la banca guidata da chi si mise in fila, in modo niente affatto riservato, per votare le primarie dell'Ulivo. Il confine destra-sinistra non serve a nulla, per dividere i giudizi sul leader libico. Ed è anche singolare che a pretendere durezza filo occidentale siano tanti che hanno passato la gran parte della vita a sfilare contro gli americani e la Nato. Né sembra saggio rinvangare storie troppo vecchie, certamente alla base dei dispetti che Gianfranco Fini e Gheddafi si scambiarono un anno fa, come se il primo fosse il continuatore della forza politica che colonizzò la Libia. Posto che la colonia italiana data da prima del ventennio, quel passato è meglio lasciarlo ai libri di storia. Meglio per tutti. Gheddafi è stato, a lungo, un protagonista, diretto ed indiretto, del terrorismo.   Si è redento a partire dal 2003, quando capì che se si bombardava Saddam poteva presto essere arrostito anche lui. Denunciò la rete criminale che diffondeva il nucleare e, anche per conservare il proprio potere dispotico, osteggiò il fondamentalismo islamico. Buon per noi, come per il resto dell'Occidente. Con noi, però, c'è un rapporto speciale, certo non dovuto al passato coloniale. Che fu da barzelletta, ma non per questo privo di spietatezza. Solo che il gallonato beduino cacciò ed espropriò i nostri connazionali all'inizio degli anni settanta e ci sparò un missile nel 1986. Passaggio cruciale, perché quell'anno gli Stati Uniti tentarono, opportunamente, di fare fuori l'attentatore, mentre un mondo che si reggeva fra Andreotti e Craxi decise di avvertire il bersaglio, che sfuggì. Di lì a poco tempo si ebbe la rivelazione che il conto All Iberian non era il veicolo di finanziamento di Solidarnosc e dell'Olp, come di altri movimenti, ma la guazza del riciclaggio. A seguire apprendemmo della mafia andreottiana. Grande Paese, gli Usa, e variamente popolato. Prima di quel giorno Gheddafi aveva compartecipato, per il tramite di banca Lafico, al salvataggio della Fiat. Durante il successivo embargo il ministro degli Esteri italiano presenziava alle sfilate libiche. Si chiamava Agnelli, Susanna. Oggi, oltre agli scambi finanziari, importiamo gas e petrolio. Le materie prime energetiche le possiamo comperare dalla Russia, il che comporta la copertura dell'espansionismo putiniano, che ha già arruolato l'ex cancelliere tedesco, oppure dall'Iran, e peggio mi sento, in parte dall'Algeria e dalla Libia. Senza quelle materie chiudiamo, quindi inutile far gli schifiltosi. L'Italia, in coerenza con gli interessi occidentali, ha allentato il rapporto con gli iraniani. Bene. Se sull'altro piatto della bilancia ci sono i cavalli che arrivano in aereo, vorrà dire che forniremo loro la biada. Piuttosto: che fine ha fatto la ripresa nucleare, che plaudimmo? So che non risolverebbe, a breve, ma sarebbe il segnale che l'Italia non ha del tutto smarrito la voglia e l'interesse d'essere indipendente.  

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