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L'attacco del Senatùr "Fini deve dimettersi"

Il segretario della Lega Nord Umberto Bossi

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«Io fossi stato in Fini mi sarei dimesso». Non usa mezzi termini Umberto Bossi. «Se vieni eletto - ha aggiunto - e la maggioranza che ti elegge non ti vuole più, cosa fai? Ti dimetti». Di certo il leader della Lega non teme le elezioni: preferisce «un mese di paralisi per prepararle» piuttosto che «tre anni di paralisi». In ogni caso se il governo Berlusconi dovesse cadere non ci sarebbe alcuna alternativa al voto perché non ci sono altre maggioranze in Parlamento. Lo dice chiaro e tondo il leader del Carroccio, dribblando le polemiche sulla Costituzione e sulle eventuali decisioni del capo dello Stato. «Noi abbiamo fatto l'accordo con Berlusconi e andiamo dove vanno i nostri alleati. Ci hanno dato il voto sul federalismo, noi non tradiremo», ha detto il leader della Lega parlando con i cronisti a Calalzo di Cadore. «Siamo andati al voto - ha ribadito - dicendo che andavamo in Parlamento con Berlusconi per ottenere il federalismo. Berlusconi ha mantenuto la parola e la manteniamo anche noi». Sul capo dello Stato, «sarebbe meglio se tutti capissero che non può essere attaccato», ha fatto notare Bossi dopo che ieri si era detto tutto sommato «contento» del presidente e aveva ricordato che «con lui abbiamo sempre trovato la quadra». Fini e la sinistra hanno «troppa paura», una «paura boia» del voto, secondo il leader leghista, e quindi «fanno di tutto per mettersi di traverso», ma il ministro delle Riforme è tranquillo, perché Napolitano «non troverà una maggioranza alternativa». Perché, ha spiegato anticipando la posizione che esprimerebbe al Quirinale nel corso di eventuali consultazioni, «se Berlusconi e io diciamo di no, i voti non ci sono» e «non c'è nessuno così pirla da fare un governo senza i voti». Chi ha pochi voti non può «dirigere» il Parlamento, «deve farsi da parte», perché «così vuole il popolo: queste sono le regole». «Se non ci sono i numeri - ha quindi riflettuto il leader del Carroccio - fatalmente si andrà al voto». E in caso di elezioni anticipate, ha avvertito, «sono due quelli che hanno i voti: Lega e Berlusconi; gli altri non li hanno e quindi sperano, mettendo in piedi dei pasticci, di riuscire a cambiare la realtà delle cose», una realtà però «dura da cambiare, non si cambia». Ma il confronto sul presidente Napolitano continua. «Il massimo rispetto per il capo dello Stato, per il suo ruolo e per le sue prerogative costituzionali. Ma chiedere il voto anticipato, qualora il governo in carica non avesse più i voti per andare avanti, è un diritto che nessuno, neppure l'opposizione, può toglierci», spiega il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Altero Matteoli. Il deputato del Pdl, ex finiano, Amedeo Laboccetta si rivolge a Futuro e Libertà: «In democrazia il voto costituisce la massima espressione della volontà popolare di "quel popolo unico sovrano dello Stato democratico", come ha ricordato Francesco Cossiga nelle sue lettere. A settembre la prima cosa da fare è verificare l'annunciata lealtà di Futuro e Libertà alla maggioranza e al governo. Il Pdl non accetterà atti di furbizia». Getta acqua sul fuoco il vicepresidente della Camera, Maurizio Lupi: «A Napolitano guardiamo con fiducia perché è stato sempre un punto di riferimento importante e ritengo che nessuno possa insegnargli il suo mestiere». Mentre il capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto spiega: «Il nostro non è un ultimatum al Quirinale ma una normale posizione politica e istituzionale che fa leva sulla sostanza della Costituzione. Non crediamo che richiedere il voto, se non c'è una maggioranza parlamentare, sia eversivo».

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