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Repubblica silura Gianfranco

Gianfranco Fini ed Elisabetta Tulliani

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La sabbia nella clessidra è esaurita. Tempo scaduto per Gianfranco Fini. L'ordine di interrompere lo scorrere dei granelli è partito dal comando supremo di Repubblica in largo Fochetti, dove il comandante Ezio Mauro sovrintende le operazioni di varo del regime postberlusconiano. Il direttore di Repubblica è un tipo tostissimo, uno che fa il giornale dalla prima all'ultima pagina e non ama certo farsi gabbare. Così dopo aver visto e letto la nota di Gianfranco Fini, pesato le bordate che si levano da tutta la stampa sul presidente della Camera, Ezio ha deciso di lanciare il suo ultimatum a Gianfranco: «Il presidente della Camera ha un'unica strada per sfuggire questa guerra mortale, una strada che coincide con i suoi doveri verso la pubblica opinione. È la strada della chiarezza e della trasparenza. Dopo avere detto la sua verità sull'affare di Montecarlo, deve pretendere la verità da Giancarlo Tulliani, intermediario e beneficiario della vendita. Fini chieda a Tulliani di rivelare i nomi e i cognomi degli acquirenti e le condizioni dell'affitto. Questo per rispondere al sospetto, ogni giorno più pesante, che Tulliani abbia intermediato per se stesso, dietro il paravento off-shore. Solo così si potrà accertare definitivamente che la “famiglia” venditrice non è anche “la famiglia” acquirente». Bingo. Non ho mai creduto a quanti sostenevano che Repubblica avesse adottato Fini per piazzarlo poi a Palazzo Chigi. Balle.   Repubblica si muove nel campo dell'opposizione in splendida solitudine e fiera autonomia. Non ha bisogno di cercare sponde politiche perché è un giornale-partito che fa le sue battaglie a prescindere da quel che combina (ormai quasi nulla) il centrosinistra. E dedicare attenzione a Fini era (ed è) utile alla strategia anti-Berlusconi, non a elevarlo a un ruolo al quale non può più aspirare. Detto questo, veniamo alla ciccia della faccenda: il cognato in affitto di Fini, Giancarlo Tulliani. La situazione si fa giorno dopo giorno sempre più imbarazzante. I dettagli sulla compravendita della casa monegasca sono noti e chiunque abbia un po' di sale in zucca non può negare che siamo di fronte a un romanzo intitolato il pasticciaccio brutto di Montecarlo. La macchinona dei giornali lavora al racconto di questo feuilleton italiano incessantemente e ho la netta impressione che la verità non tarderà a venire a galla. Nel frattempo il cognato in affitto è sparito. Pare sia in vacanza. Come faccia a starsene ammollo da qualche parte con tutto questo casino per me resta un mistero. Noblesse oblige. Possiede una Ferrari 458 Italia (325 chilometri orari e 197 mila euro per accendere il motore), ha la residenza vip a Montecarlo, conduce una vita da jet-set e chissenefrega del povero cognato che fa il presidente della Camera e non sa più come mettere insieme i cocci di una storia che gli è esplosa in mano e rischia di fargli saltare la carriera politica, cioè l'unica cosa che Fini sa fare. Con tutta la brutalità politica di cui è capace, Antonio Di Pietro ha riassunto a modo suo la questione finiana: «Lo dico in dipietrese, Fini dovrebbe chiamare il suo parente e chiedergli 'a cognato, da chi hai preso questa casa? Se non fa questo presto e bene, è Fini...to pure lui...». Tonino non esagera, perché il tam tam che riguarda le società costituite nei paradisi fiscali ha un pessimo rumore. Si parla di «italianissimo proprietario», di giri poco raccomandabili, di furberie fiscali che prima o poi finiranno nel mirino di chi le tasse le riscuote. In questa situazione, sarebbe bene che Fini prendesse il toro per le corna (del cognato). Ci riuscirà? Il giorno in cui ha mandato alle agenzie di stampa la sua nota di replica in otto punti scrissi su Il Tempo che quelle risposte erano un boomerang. Previsione azzeccata. E non ci voleva molto, bastava non avere le fette di salame sugli occhi e conoscere i documenti della compravendita. Quando entrano in scena i paradisi fiscali, puoi star certo che c'è una botola aperta da qualche parte che ti attende. Fini è più che mai nei guai. E come si diceva in passato, la questione è politica, per cui invocare la legalità e tirarsi fuori come un azzeccagarbugli di manzoniana memoria non salverà Fini dal dover dare – e chiedere ai Tulliani – spiegazioni convincenti per uscire dalle sabbie mobili in cui s'è ficcato. Se non ci riesce, con la politica ad alto livello avrà chiuso e potrà al massimo consolarsi con un giretto in Ferrari.  

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