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Berlusconi fa piazza pulita. Sfiduciato Fini "Incompatibile, lasci la presidenza della Camera"

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Gianfranco Fini

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È rottura. Stavolta vera, drammatica. Con la richiesta, da «girare» al gruppo del Pdl alla Camera, di dimissioni di Fini da presidente della Camera, la durissima censura della sua azione politica, la sospensione dal partito di tre parlamentari ribelli – Granata, Bocchino e Briguglio – e il deferimento ai probiviri. Alla fine di una giornata convulsa, vissuta tra attese, tentativi di trattativa e gran rifiuti, è stata questa la decisione dell'ufficio di presidenza del Pdl riunito ieri sera da Berlusconi a palazzo Grazioli. Con soli tre voti contrari: Ronchi, Urso e Viespoli. Un documento che ha provocato come reazione immediata l'annuncio della costituzione di gruppi autonomi sia al Senato sia alla Camera da parte dei finiani e la consegna di una lettera di dimissioni dal gruppo del Pdl a Fini. Ma quali sono i numeri? È questo il rebus che ha arrovellato per tutta la giornata gli esponenti berlusconiani. Perché in ballo c'è la tenuta della maggioranza in Parlamento. Una tenuta che potrebbe essere messa a serissimo rischio. Sulla carta i finiani in Senato sono 14 – in 9 sembra abbiano già dato la loro disponibilità ad andare avanti sulla strada della scissione mentre Andrea Augello e altri quattro aspettano ancora – alla Camera invece sono 28. Un numero alto che potrebbe salire a 34, secondo alcune indiscrezioni. Ma anche se fossero meno – 15, 16 parlamentari – si tratterebbe di un gruppo pericoloso per la tenuta del centrodestra. Perché sarebbe una maggioranza destinata a sopravvivere per pochissimi voti. Berlusconi ha però spiegato di non tenere alcuna ripercussione sulla tenuta del governo. «Riteniamo che non ci sia nessun rischio. Abbiamo la maggioranza nel Paese e il presidente del Consiglio gode di un consenso di oltre il 63%». Poi ha aggiunto: «Non accettiamo alcun gioco al massacro, facciano pure i gruppi autonomi, tanto sono fuori dal partito». Per tutta la giornata da parte dei finiani si è aspettata una decisione da parte del premier. Con la speranza di un ammorbidimento dei toni. Un tentativo che hanno fatto anche alcuni uomini vicini al presidente del consiglio. Come l'avvocato Niccolò Ghedini, una delle «colombe» che ha provato a convincere Berlusconi a non intraprendere la strada dell'espulsione. E Ignazio La Russa ha provato a mediare durante l'ufficio di presidenza. Ma il Cavaliere stavolta non ha voluto arretrare di un millimetro, deciso ad andare fino in fondo. «Lo voglio fuori del partito, a qualsiasi costo» ha ripetuto ai suoi. E che non ci fossero margini lo hanno dimostrato anche le parole di condanna nei confronti di Fini del presidente del Senato Renato Schifani. Così, in serata è arrivato il documento di rottura conclusiva. «L'ufficio di Presidenza – è scritto nel documento finale – considera le posizioni dell'onorevole Fini assolutamente incompatibili con i principi ispiratori del Popolo della Libertà. Mai prima d'ora è avvenuto che il presidente della Camera assumesse un ruolo politico così pronunciato perfino nella polemica di partito e nell'attualità contingente, rinunciando ad un tempo alla propria imparzialità istituzionale e ad un minimo di ragionevoli rapporti di solidarietà con il proprio partito e con la maggioranza che lo ha designato alla carica che ricopre». Poi l'affondo sulla lealtà nel partito, con un chiaro riferimento alle accuse a Verdini e alle richieste di dimissioni: «La condivisione di principi comuni e il vincolo di solidarietà con i propri compagni di partito sono fondamenti imprescindibili dell'appartenenza a una forza politica». «Assecondare qualsiasi tentativo di uso politico della giustizia; porre in contraddizione la legalità e il garantismo; mostrarsi esitanti nel respingere i teoremi che vorrebbero fondare la storia degli ultimi sedici anni su un "patto criminale" con quella mafia che mai come in questi due anni è stata contrastata con tanta durezza e con tanta efficacia, significherebbe contraddire la nostra storia e la nostra identità». Poi un passaggio sulla difficoltà da parte degli elettori del Pdl di capire la «guerriglia» a Berlusconi: «L'atteggiamento di opposizione sistematica al nostro partito e nei confronti del governo che nulla ha a che vedere con un dissenso che legittimamente può essere esercitato all'interno del partito, ha già creato gravi conseguenze sull'orientamento dell'opinione pubblica e soprattutto dei nostri elettori». Fini non ci pensa proprio a farsi da parte e parlando con i suoi commenta: «La presidenza della Camera non è nelle disponibilità del presidente del Consiglio...». Commenti ufficiali sono rimandati a una conferenza stampa che si terrà oggi. I finiani hanno già consegnato le lettere di dimissioni e oggi potrebbero annunciare la formazione di gruppi autonomi, il nome non è ancora deciso.

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