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Ma nel Lazio il centrodestra è ostaggio di faide e scontri

L'ex sindaco di Latina Vincenzo Zaccheo

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Appena quattro mesi fa saltavano i tappi di spumante per festeggiare la vittoria della Polverini alle regionali, un successo basato fondamentalmente sull'apporto che le province erano riuscite a dare alla candidata del Pdl; ora a saltare sono le amministrazioni comunali di centrodestra più importanti di quegli stessi territori che hanno consentito la svolta del dopo-Marrazzo. Chi mastica di politica crede poco al fato cinico e baro, e dunque l'arrivo delle elezioni anticipate a Latina per l'area pontina e a Cassino per quella ciociara non possono essere derubricate come fatti isolati o, peggio, semplicemente contestualizzati. No, c'è di più. Latina e Cassino sono nomi di città importanti, non marginali, sia per l'economia che rappresentano sia per l'aspetto politico in sé, se è vero come è vero che le due province insieme hanno versato nelle casse elettorali, in termini di voti, ben 339992 preferenze. E allora la prima, inevitabile, riflessione che ne consegue è che il rapporto matematico tra l'exploit elettorale e l'assetto politico-amministrativo regionale ha fatto saltare qualche parametro, per cui la posta in gioco in termini di incarichi (politici e non) si sia repentinamente alzata, tanto da non poter essere più onorata. E non parliamo solo di posti strettamente connessi alla Regione in quanto Ente, ma alla regione nel suo complesso politico amministrativo, fatto di anche di Province e Comuni. Ma – si potrebbe obiettare – c'è il Partito a garanzia di un equilibrio tra il centro e la periferia e, più in generale, a garanzia degli impegni presi con l'elettorato. Diciamolo con franchezza: nel Lazio il Popolo della Libertà c'è, ma manca il partito. Il Pdl non ha superato le divisioni tra ex An e ex Forza Italia, come dimostrato a Latina dalla lotta tra l'ormai ex sindaco Vincenzo Zaccheo (già consigliere regionale e parlamentare di An) e il senatore forzista Claudio Fazzone (anche lui con esperienze importanti alla Pisana). Una lotta sotterranea per anni, ma divenuta visibile nel 2007 al momento della ricandidatura di Zaccheo allo scranno di primo cittadino. Poi una serie di frizioni, più o meno evidenti, fino ad arrivare al documento di sfiducia che ad aprile scorso ha mandato a casa l'amministrazione di centrodestra. Un fatto grave, ma in parte comprensibile se fosse solo il risultato di una linea di separazione ancora troppo evidente tra i due partiti fondanti del Pdl. Ciò che le cronache di questi giorni dimostrano, invece, è che la situazione è ben più complessa. A Cassino, infatti, il problema non nasce tra le due anime del Pdl, ma per una faida piuttosto complessa tutta interna all'ex Forza Italia e ai rapporti con alcune liste civiche. Casus belli, neanche a dirlo, le passate elezioni regionali, dove l'attuale presidente del consiglio regionale Mario Abbruzzese si è visto «scaricato» da alcuni consiglieri che hanno invece preferito portare Adriano Roma, candidato gradito anche al sindaco Bruno Scittarelli. Non a caso all'indomani della vittoria della Polverini un gruppo di 10 consiglieri e 5 assessori, forti del successo di Abbruzzese, rivendicò «un segnale di discontinuità» in sede locale. Cosa voglia dire «discontinuità» all'interno di un'amministrazione locale non è difficile da decriptare: posti in giunta e incarichi dirigenziali. Allora è intervenuto il partito, per bocca del coordinatore regionale Vincenzo Piso, chiedendo a tutti responsabilità rispetto al progetto politico e amministrativo. Qualcuno ha fatto marcia indietro in nome di un superiore interesse, altri – 7 consiglieri e 4 assessori – sono andati avanti, fino al compimento dell'eutanasia consiliare.Passando al nord della Regione la musica non cambia. A Viterbo l'amministrazione provinciale di Marcello Meroi, appena eletta è andata in crisi sempre per una questione di rapporti tra ex An, ex FI, Udc e una lista facente riferimento al sottosegretario Giovanardi.   A Civitavecchia il Pdl è nato solo pochi mesi fa e, appena partorito, il coordinatore provinciale Lollobrigida ha dovuto fare i conti con la fronda di alcuni ex FI e ex An evidentemente scontenti del proprio ruolo nel nuovo assetto. Sulla scorta di tutti questi episodi risulta evidente che il partito, nel senso proprio di un organismo che tramite la propria dirigenza detta le linee fondamentali di una politica comune, e che è in grado di assorbire al proprio interno malumori e contrasti fino a digerirli in appositi confronti assembleari, non c'è. Si scontrano due concezioni diverse, quella «organizzata» di An e quella più «fluida» di Forza Italia. Ma si scontrano ancor più i personalismi che i territori propongono, e che la bandiera del Pdl fino ad oggi non è riuscita a sintetizzare. E allora tutti contro tutti. Sono segnali gravi, da non sottovalutare. Sono crepe evidenti che non aggrediscono solo l'intonaco della casa della libertà di decennale costruzione, ma minano le fondamenta della sua crescita. Tant'è che anche in altre regioni si consumano scontri fratricidi, seppure spesso poco visibili.   Un esempio è il Molise, dove il Presidente della Regione Michele Iorio (ex Forza Italia) e l'europarlamentare Aldo Patriciello (ex Forza Italia) hanno un conto aperto da anni. Mancano i lampi, forse, ma il rimbombo dei tuoni che riecheggia nella regione fa capire di quale entità sia la bufera. Resta il dato elettorale, che afferma inequivocabilmente che c'è tanta gente che crede fortemente nel progetto di Silvio Berlusconi nato da un predellino in piazza San Babila a Milano. Parafrasando Massimo D'Azeglio, il Popolo della Libertà è fatto, ora bisogna fare il Partito.  

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