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Chiedere troppo porta il Lazio fuori dai mercati europei

Il latte frizzante garantirà il 15% del calcio necessario ogni giorno oltre a vitamina C anti-ossidante

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La guerra del latte scatenata dalla Coldiretti con l'occupazione della Centrale romana rischia di diventare un boomerang per l'industria agroalimentare italiana. Lo dimostrano i numeri: scorrendo i prezzi del latte "alla stalla" dei Paesi comunitari si scopre che l'Italia è ai primi posti della classifica 2009 con una media 30,57 centesimi al litro, quarta dopo Cipro (51,08), Finlandia (39,85) e Grecia (37,65). Ma la classifica cambia se si considera il latte di Lazio e Campania che sale al terzo posto per la poco modica cifra di 35,7 centesimi. L'aumento richiesto del 20% a 39,90 centesimi appare dunque ingiustificato e non in linea con i prezzi pagati in Europa e anche nell'Italia del Nord. Dal canto loro, a Roma gli industriali hanno già messo sul tavolo 37,4 centesimi a fronte di una richiesta di 39,90 ed è stata respinta la proposta di mediazione della Regione di 38,5 centesimi. Chiedere di più significherebbe mettere fuori mercato i prodotti made in Italy e favorire le importazioni.   Per comprendere meglio i rischi per la competitività del latte italiano è opportuno allargare l'obiettivo alla realtà produttiva locale: nel Lazio ci sono molte cooperative, le 10 più importanti sono i fornitori della Parmalat (proprietaria della Centrale del Latte di Roma) e hanno tutto l'interesse a gestire autonomamente il rapporto con il cliente industriale. Autonomia, sostengono alcuni operatori del settore, mal digerita dalla Coldiretti che preferirebbe mediare sul prezzo fra le coop e il gruppo di Collecchio come se fosse un sindacato. Qualche singolo agricoltore è sensibile al richiamo della Confederazione senza rendersi conto che alla fine la partita gli si ritorcerebbe contro. Non solo. Del latte prodotto della Centrale del latte di Roma il 60% viene immesso sul mercato laziale mentre il restante 40% viene portato fuori regione. E se la Centrale, con i nuovi prezzi, decidesse di "emigrare" in altre zone del Paese inevitabilmente alcune stalle vedrebbero crollare gli affari e rischierebbero di chiudere. Il mercato lattiero-caseario sta inoltre attraversando una fase di ebollizione: dopo anni di crisi il Parmigiano e il Grana Padano hanno accelerato la ripresa delle vendite e, producendo di più, hanno provocato un aumento del prezzo del latte fino a quasi 37 centesimi. Ciò ha scatenato anche una certa tensione in Lombardia ed Emilia fra le altre aziende che rispetto alle due big non hanno le spalle abbastanza larghe per sopportare i rincari. Soprattutto adesso, in estate, che la mungitura è meno ricca e il flusso diminuisce facendo conseguentemente aumentare i prezzi. Al centro del fuoco incrociato delle rivendicazioni resta, dunque, la competitività. Fra produttori del Nord e del Centro Sud ma anche fra l'industria nazionale e i concorrenti europei. In Italia si consumano 20 milioni di tonnellate di latte fresco ma poco più della metà arriva dall'interno mentre il resto è acquistato in Germania o in Slovenia dove costa dieci centesimi meno. Senza dimenticare che, non solo il latte Uht - sempre più proveniente dall'estero - ma anche il latte fresco, secondo le normative europee a salvaguardia della qualità e della salute del consumatore, può essere trasportato già impacchettato o imbottigliato da oltreconfine. In questo scenario, cui si aggiungono gli effetti generalizzati della crisi economica, diventa ancor più difficile sostenere la battaglia della Coldiretti. Martedì prossimo si terrà un vertice alla Regione fra la Parmalat, che ha scelto la linea dura e non intende cedere alle pressioni dei produttori, e la Confederazione pronta a minacciare nuove ritorsioni cercando solidarietà fra i romani che rischiano di non trovare i cartoni di latte sugli scaffali del supermercato. Nel frattempo manca ancora all'appello un patto di filiera che stabilisca a livello nazionale un codice di comportamento condiviso, al di là degli interessi corporativi. Ma soprattutto una chiara strategia nazionale per il settore lattiero-caseario. Il tempo stringe perché quando nel 2015 le quote latte saranno soltanto un lontano ricordo e le barriere cadranno, la battaglia della Coldiretti si trasformerà in una guerra fra poveri.  

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