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"I politici sono i veri decadenti"

Lo stemma dei Bastoni, marchesi di Ascoli

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Fruscio di sete preziose, nuvole di cipria e profumi, l'oscillare di pregevoli ventagli: tutto è sparito insieme ai busti in stecche di balena, alle ampie sottogonne in taffetà, ai diademi. In questa Italia che adesso spegne 150 candeline, il potere politico della nobiltà è tramontato esattamente da 64 anni. Ma baroni, conti, marchesi e principi non rinunciano a tracciare un bilancio graffiante di questo Paese, della politica e dei politici. Lo fanno a modo loro, sentendosi ricchi dell'appartenenza a famiglie che hanno accumulato secoli di storia ed esperienza. Fa una certa impressione pensare che queste antiche discendenze hanno combattuto con Carlo Magno, visto l'Impero di Carlo V, la rinascita della Francia, il Re Sole, la rivoluzione francese, il plurisecolare Stato Pontificio, la conquista delle Americhe, l'impero di Napoleone, i Borbone delle Due Sicilie, la Restaurazione dell'Ancien régime, la Vienna degli Asburgo, il Risorgimento italiano, l'Italia unita, due guerre mondiali. E loro sempre lì, sui troni, oggi su poltrone dirigenziali, o a far la spesa al supermercato, o tra i fornelli, trasmettendo a figli, nipoti e bisnipoti, il retaggio familiare. I 150 anni dell'Italia sono una frazione della loro storia, quella più recente. «L'Italia avrà pure compiuto 150 anni, ma il primo a voler istituire un ministero pannazionale fu il principe Antonio Capece Minutolo, vissuto tra Settecento e Ottocento, con il suo modernissimo pensiero di un ministero di Polizia fra tutti gli stati regionali della nostra Penisola». A parlare è la principessa Irma Capece Minutolo, dedita al volontariato, appassionata di studi storico-politici e giuridici, la cui famiglia inizia con i Duchi indipendenti di Napoli, affrancatisi dall'impero di Bisanzio ben 1.237 anni fa. Di sovrani, Donna Irma se ne intende anche per storia recente: l'omonima zia, splendida cantante lirica, fu fra le regine della Dolce Vita nonché vedova di Re Farouk, ultimo monarca d'Egitto. «La differenza tra il mio quartavo, il principe Antonio, e i politici attuali - dice la nobildonna - è che egli, da ministro plurinazionale e profondo umanista, venne ingiustamente definito da alcuni come "forcaiolo" perché si rifiutò di aderire agli ideali rivoluzionari schierandosi a difesa del suo sovrano e delle istituzioni democratiche, uniche nel suo tempo, esistenti a Napoli. Oggi si vuol far passare per santi degli individui che, lungi dal difendere la povera gente, hanno come passatempo il perseguire fini personali o distruggere ciò che i nostri Padri hanno faticosamente costruito».   «Se 150 anni ci separano dalla morte di Cavour - aggiunge Donna Irma - sembrerebbero un baratro incolmabile di almeno 200 anni quelli che ci separano dall'operato del mio illustre antenato che non ebbe paura di schierarsi personalmente contro Napoleone, Metternich e l'intera corte inglese per difendere a spada tratta Napoli, i suoi sovrani e il suo popolo». «Fra spazzatura invadente, tunnel autostradali la cui costruzione eterna ha costi faraonici, ponti pagati quattro volte e mai realizzati, ricostruzioni mascherate da opere d'arte - conclude - la nostra classe dirigente, di destra e di sinistra, più che avvicinarsi agli ideali risorgimentali, sembra a suo agio trasposta alla fine della Repubblica Romana, quando scandali, appropriazioni indebite, collusioni e l'essere considerati al contempo re di tutti i sovrani e regine di tutti i soldati, era all'ordine del giorno». Altro incontro a casa Moncada, nel centro di Roma. Diverse paia di occhi severi dardeggiano da alcune pareti. Sono gli antenati del principe Danilo Moncada Zarbo di Soria. Loro, da quelle cornici, in posizione così immota quanto viva, sembrano una commissione di laurea, quasi a chiedersi «vediamo cosa risponde questo nostro figlio». Il principe è psicologo, quindi intenditore dei moti dell'animo, produttore cinematografico, una famiglia antica di circa 1300 anni, originata dai Duchi di Baviera poi passata in Catalogna e in Sicilia con un numero infinito di feudi. «Vivo fra Roma e Barcellona e dunque conosco due prospettive della politica - dice mentre si appoggia a un caminetto - In Spagna il dibattito fra Zapatero e Rajoy è stato su temi molto concreti. Qui in Italia? Il nostro Parlamento ha il mio pieno riguardo, in famiglia siamo stati sempre educati con l'idea del rispetto assoluto dello Stato e delle leggi e con un senso dell'onore mai negoziabile. Ma se non hai un progetto su cui condurre il Paese, perché dovrei votarti? Oggi la gente vota guidata da concetti estetizzanti». La politica «recente» è entrata in casa Moncada: nella Palermo del 1947, una zia del principe, la contessa Giovanna Trigona, nota e compianta benefattrice, contribuì a fondare l'Msi; poi fu la prima donna consigliere comunale. «Era un modo rivoluzionario d'essere di destra, senza preconcetti, con una chiara idea di Stato e del progresso - continua Moncada - Oggi non capisco la nostra politica. Dovremmo confrontarci con la destra francese e tedesca, ma si rimane fermi, senza costrutto». «Quando si presentò per la prima volta Berlusconi e vinse, mi dissi, "finalmente un liberale non condizionato da lacciuoli fideistici". Oggi sono molto arrabbiato - conclude il principe - Fini sta invece facendo un'operazione giusta creando dibattito in un monolite politico. Vorrei parlare poi di cose di sinistra, ma dove sono, chi sono quelli di sinistra? Questo Pd dove va, che programmi ha? Vendola è più collocabile ma, per esempio, i Verdi esistono ancora?». Altra voce nobile, quella di Paolo Dragonetti de Torres-Rutili, più realista del re, in forze nelle Guardie d'Onore del Pantheon, di famiglia d'origine remota (1178), marchesato conferito dal re Filippo V e patriziato romano dal 20 giugno 1620. «C'è un indubbio svuotamento della politica che si è fatta meno propositiva e caratterizzata da un eccessivo senso della contrapposizione fine a se stessa - dice il nobiluomo - È necessaria una svolta etica. Ricordo l'articolo 50 dello Statuto albertino del 4 marzo 1848: "Le funzioni di Senatore e di Deputato non danno luogo ad alcuna retribuzione od indennità. Non ne chiedo l'integrale applicazione oggi, sarebbe fuori dalla realtà, ma è significativo». Non è meno tenera la patrizia ascolana, contessa Cristina Bartolomei Bastoni dei Marchesi di Ascoli, una storia antica di oltre 800 anni, nella ristretta cerchia dei governanti di quella regione, molto vicini al trono papale ma con un solo vizio: nelle dispute politiche, talvolta sono andati per le spicce utilizzando il coltello. «D'altra parte il temperamento degli ascolani è sempre stato sanguigno, ma si perseguiva sempre il meglio per la comunità cittadina. Il primo grande di famiglia fu nel 1300: Philippus Bastoni, ambasciatore nella "Guerra degli otto santi" per la compartecipazione di Ascoli alla Lega fiorentina - dice la contessa - La politica era diversa. La classe dirigente vincente deve essere competente, capace, con la volontà di perseguire obiettivi utili alla nazione. Invece oggi i politici italiani danno l'impressione di essere pronti a impiegare energie in sterili polemiche. I politici gentiluomini, capaci di esprimersi con buon gusto e rispetto per gli avversari, sembrano in via di estinzione».   Di certo sono ben lontani i tempi dell'onore difeso a spada tratta, dei guanti lanciati a mo' di sfida. Non si riesce a immaginare un Di Pietro tirare di scherma in calze di seta, abiti settecenteschi e parrucca, o il ministro Brunetta in armatura giostrare in un'ordalia, o un Orlando-Dario Franceschini impugnare la Durlindana e fronteggiare i Mori cercando la sua Angelica-Livia Turco. L'unico immaginabile è un Mago Merlino-Giulio Andreotti, ma è mai esistita la sua Morgana? «I politici oggi sembra non si rendano conto che la grave crisi economica deve essere subito contrastata con politiche urgenti a sostegno delle famiglie, delle imprese e del made in Italy - continua la Bartolomei Bastoni - Abbiamo ereditato un Paese moderno e industrializzato risorto da un disastroso dopoguerra. Mi domando che genere d'Italia erediteranno le generazioni future».   Il conte Roberto Filo della Torre di Santa Susanna, cognome che non ha bisogno di presentazioni, con legami di sangue con le maggiori aristocrazie europee, non è attratto dalla politica, a cui non risparmia critiche. «Questa cerca di sopravvivere, è in piena decadenza. L'Italia oggi vive alla giornata e i politici si adeguano. Non mi divertono la politica e i politici - aggiunge il conte con una certa indolenza, davanti a un bicchiere d'acqua minerale al bar Rosati di piazza del Popolo - Solo Berlusconi riesce a mandare avanti questo Paese. Giù un Prodi o un Veltroni. Casini invece mi diverte, è abbastanza ragionevole, riesce a calibrare le due parti senza sposarle». Uomo eclettico, sanguigno, voce potente e allo stesso tempo gentile, noto per le tante partecipazioni a iniziative umanitarie, è il conte Fernando Crociani Baglioni, cavaliere di Grazia e Devozione del Sovrano Militare Ordine di Malta, grand'Ufficiale dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana, decorato con la Médaille de la Ville de Paris. Sui politici il conte dice subito che «oltre la notte verrà l'aurora. Bisogna essere ottimisti, come per gran parte dei ceti storici di fronte ai cambiamenti di questi ultimi cento anni, pescando nella nostra concezione del mondo e della vita, dell'uomo, della società e della storia, il frutto di una visione cristiana, quindi ottimistica, che non sa subire l'idea di decadenza. Dai ceti storici italiani - continua il conte - noto un forte consenso per il cavaliere Silvio Berlusconi, al berlusconismo come movimento e prassi, all'idea di risanamento che con il piglio dell'imprenditore di grande successo, il cavaliere ha saputo imprimere alla sua avventura politica. Valori storici, borghesi, conservatori certamente, in cui, in senso lato, la destra nazionale ha saputo reidentificarsi. Valori sociali e cristiani nell'affermazione planetaria della libertà di mercato oltre la sconfitta storica del comunismo. Qualità della politica? Scarsa, ma siamo a livello degli altri paesi».   È quasi un gentile epitaffio, scritto sulla tomba della politica italiana, quello che sboccia dalle parole del marchese Giuseppe Ferrajoli, noto conoscitore del bel mondo e dei dirigenti del Paese, li ha visti divertirsi nelle stanze del suo palazzo a piazza Colonna, per riunioni, compleanni, convention. «Siamo in fase calante. Gianni Letta è di sicuro il politico migliore, ma una volta ne avevamo almeno una decina come lui. Apprezzo molto Berlusconi, una risorsa per l'Italia, anche se non è un politico e a volte commette errori che i politici di un tempo non avrebbero fatto. Non è stato attento alla sua privacy. Da bocciare quasi esclusivamente i politici della sinistra più estrema».

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