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(...) perché è pur sempre possibile che l'esecutivo riesca a sopravvivere alle continue scosse telluriche che lo tengono in perpetua fibrillazione.

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Siha la sensazione diffusa che, ormai, il paese sia giunto a una vera e propria svolta. E che la maggioranza governativa sia destinata a dissolversi aprendo scenari non prevedibili, a cominciare da quello di un possibile voto anticipato. La «crisi di governo», insomma, sembra incombere. Eppure non è detto che vi si arrivi. Essa può essere certo evitata. E probabilmente lo sarà. D'altronde, non si vede quali, in concreto, potrebbero esserne, realisticamente, gli sbocchi. Non certo un governo di segno politico opposto all'attuale: in primo luogo, perché non avrebbe i numeri necessari e, in secondo luogo, perché, alla luce dei risultati elettorali, verrebbe percepito come un tradimento della volontà popolare e non in sintonia con la «logica interna» dei sistemi politici di tipo bipolare. E neppure un governo di «larghe intese» o di «solidarietà nazionale» che presupporrebbe, quanto meno, la volontà di tutti i partiti di lavorare insieme per affrontare, in una situazione di emergenza, i problemi critici del paese, a cominciare dalle riforme istituzionali: su questi problemi, si sa, le opinioni sono le più disparate e le soluzioni proposte le più inconciliabili. Non sembrano praticabili neppure altre ipotesi, come quella suggerita da Massimo D'Alema di un «governo di transizione» guidato da un premier diverso da Berlusconi: ipotesi che, a ben vedere e fumisterie a parte, ripropone con parole diverse l'idea del «ribaltone» o quella del «governo tecnico». Non manca neppure chi, ripensando nostalgicamente ai fasti e nefasti della prima Repubblica, ipotizza l'idea di rispolverare dal cassetto dei ferrivecchi l'idea di un «governo balneare», sul modello di quello guidato da Giovanni Leone nel 1963, destinato a gestire gli affari correnti per una breve stagione in attesa di un chiarimento politico. E, dopo tutto, non è affatto sicuro che ci sia davvero qualcuno che, dichiarazioni a parte, voglia la caduta del governo. Certo, non l'armata Brancaleone dei partiti di opposizione, in crisi di identità, di persone, di progetti. Non gli avversari interni di Berlusconi, quelli per intenderci abituati a tesser trame e affilar coltelli nel Pdl, per i quali la situazione ideale è quella di un lungo logoramento del premier. La «crisi di governo» sarà, allora, probabilmente evitata. O, al più, ridimensionata attraverso un «rimpasto» che potrebbe riportare all'ovile, dietro laute concessioni, le pecorelle smarrite di una Udc oggi spinta alla marginalità politica. Tuttavia una, pur auspicabile, mancata formalizzazione della «crisi di governo» non significa, per la maggioranza, che sia stata evitata la «crisi politica». La verità, per quanto sgradevole, è, infatti, proprio questa: la maggioranza, segnatamente il Pdl, sta attraversando una profondissima crisi, una crisi che deve essere analizzata e presa di petto perché l'intero progetto legato a Berlusconi e al Pdl non si sciolga come neve al sole. Questa «crisi politica» rischia di travolgere in un disastro il Pdl e l'intero sistema politico quale si è venuto costruendo dopo la prima repubblica. La proliferazione delle correnti organizzate - comunque esse si chiamino - è l'indice di questa crisi. Mette in luce non soltanto l'esistenza di profonde rivalità, a cominciare da quella tra Berlusconi e Fini, ma anche, e soprattutto, il maturare di «trame» interne che sembrano volte a ottenere ricambi totali, anche generazionali, nel centrodestra. Siamo in presenza, in parole povere, di una lotta senza esclusione di colpi per la conquista della leadership del centrodestra condotta attraverso il tentativo di indebolimento del suo leader senza preoccupazioni alcune per il bene e il futuro del paese. Berlusconi ci ha abituato ai colpi d'ala. Ora un colpo d'ala è necessario. Indispensabile per raddrizzare il partito, ridargli animo, slancio e vigore. Francesco Perfetti

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