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I furbi d'Italia costano 275 miliardi

La riduzione degli acconti fiscali non riguarda solo le società: nel testo previsto anche un calo dell'acconto per l'Irpef che riguarda le famiglie

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Lo si percepisce ovunque che il sommerso in Italia non sia un fenomeno marginale. L'esempio più tangibile è il mancato rilascio di scontrini e fatture ai consumatori. Un pratica ripugnante soprattutto in tempi di sacrifici e di crisi. Eppure tra dichiarazioni mendaci, costi gonfiati e lavoro in nero l'economia sommersa continua a crescere e aumenta anche il suo peso percentuale rispetto al Pil. Nel 2008 secondo le stime dell'Istat un sesto della ricchezza è sfuggita alle statistiche ufficiali e, di conseguenza, anche all'erario. Già. Nel cassetto di chi ha completamente dimenticato il senso civico sono rimasti tra 255 e 275 miliardi di euro, con un peso (in crescita per la prima volta in sette anni) tra il 16,3% e il 17,5% del Pil. Una forchetta che, nel 2007, era invece compresa tra 246 e 266 miliardi (per un peso sul pil tra il 15,9% e il 17,2%). La parte più rilevante del fenomeno riguarda la sottodichiarazione del fatturato e il rigonfiamento dei costi impiegati nel processo di produzione del reddito. Nel 2008 l'incidenza del valore aggiunto non dichiarato dovuto a queste componenti ha infatti raggiunto il 9,8% del Pil. A livello settoriale l'evasione fiscale e contributiva è più diffusa nei settori dell'agricoltura e dei servizi, ma è rilevante anche nell'industria. Se si considera la sola economia di mercato, senza considerare, cioè, il valore aggiunto prodotto dai servizi non market forniti dalle amministrazioni pubbliche, il sommerso nel 2008 rappresenta il 20,6% del Pil, contro il 17,5% calcolato per l'intera economia. Un capitolo importante è poi quello del lavoro nero: le unità di lavoro non regolari (vale a dire la somma delle posizioni lavorative a tempo pieno e delle prestazioni lavorative a tempo parziale) hanno ripreso a crescere e raggiunto - il dato è in questo caso relativo al 2009 - quota 2,966 milioni, pari al 12,2% dell'input di lavoro complessivo, contro i 2 milioni e 958 mila (11,9%) del 2008. Ed è proprio questo dato a preoccupare la Cgil che, trasformando le unità di lavoro in lavoratori in carne e ossa, quantifica in oltre 3,5 milioni il numero di persone in nero. Il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, tuttavia, rileva che il dato è in diminuzione nel decennio e che le azioni in corso «saranno via via rafforzate secondo le linee del prossimo Piano triennale per il lavoro».  

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