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Un problema politico e non giudiziario nel Pdl

Nicola Cosentino

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Abbiamo già scritto quel che pensiamo della P3. Anche quel che pensiamo delle inchieste a strascico. Ma il sorridere della prima e il detestare le seconde, il far valere, sempre e comunque, la presunzione d'innocenza, cui accoppiamo, qualche volta, quella di totale infondatezza, non deve nascondere il dato politico. Pensare che l'innocenza risolva tutto è come credere nel giustizialismo al contrario: per i manettari vale solo l'accusa, che è annuncio di condanna, per il loro opposto vale solo che l'accusa non è dimostrata. Sbagliato, in tutti e due i casi, perché il problema politico c'è e prescinde dalle faccende togate. Anzi, ci si può spingere ancora oltre: venti anni di giustizialismo dissennato e fascistoide hanno consentito, per reazione, ad una politica sbilenca di tenersi in equilibrio. Noi non sappiamo se qualcuno abbia pensato veramente d'influire sui magistrati di Firenze (invitandoli a un convegno? è un reato?), o su quelli della Cassazione o sulla Corte costituzionale, sappiamo che se qualcuno ci ha creduto è sprovvisto di due cose: il senso delle istituzioni e quello del ridicolo. Non rileva, qui, l'aspetto penale, ma il fatto che non siano stati numerosi, a quella cena sconsiderata, ad alzarsi e ad annunciare che la compagnia aveva bevuto troppo. E siccome i convenuti erano il fior fiore del Popolo delle Libertà, assieme al vintage dell'imbroglio, si pone un problema alla maggioranza. Nella quale, oltre tutto, s'è scatenata una speculazione forsennata, a fronte della quale l'opposizione rimane silente. Forse perché ha imparato il rispetto del diritto o forse, più probabilmente, perché ha capito che certi argomenti portano male. Fatto è che sono gli esponenti della maggioranza a darsi reciprocamente del delinquente e dell'incivile. Queste cose non accadrebbero, o non conquisterebbero lo spazio che oggi occupano, se quel ceto politico fosse un po' più occupato a governare e legiferare, se il Parlamento fosse il centro della vita politica, e non il votificio a vuoto che è divenuto, se la vita pubblica fosse occupata da idee e anche da interessi di grande portata, e non da trovate e miserie. Al Corriere della Sera si sono accorti oggi che l'Italia ha un problema di classe dirigente, noi lo scriviamo da anni e, nella deficienza di coscienza mettevamo e mettiamo anche un giornalismo senza grande opinione di sé. Sulla scena, inoltre, si fanno strada tesi surreali. Leggo che taluni vorrebbero un governo di salvezza nazionale (ma da che, esattamente?), ma senza porre veti sulla persona di Silvio Berlusconi. Porre veti? ma quell'uomo è, da sedici anni a questa parte, il più votato. In quale democrazia si sente parlare dell'ipotesi di porre un veto contro il più votato? Semmai si va di nuovo ad elezioni, altrimenti è chiaro che tocca a lui far funzionare il governo. Così com'è chiaro, però, che non funziona, o, almeno, non funziona come dovrebbe. È compito di Berlusconi prendere l'iniziativa per uscire da quelle che sembravano secche e cominciano a somigliare a palude. Come? Una volta si facevano i «vertici», in modo che i capi dei partiti di maggioranza potessero darsi mazzate e riconfermare l'alleanza. Ora i vertici sono passati di moda, e non è un male, ma sono rimaste solo le mazzate pubbliche. Tocca al presidente del Consiglio, allora, rivolgersi al Parlamento e agli italiani, fare il punto sulle cose fatte e da farsi e stabilire in qual modo continuare il cammino o, se non è possibile, interromperlo per ripartire. È complesso, certo, le avversità istituzionali sono notevoli. Ma è sempre meglio di lasciarsi tritare sui provvedimenti all'esame del Parlamento (pavento lo scempio prossimo venturo, sulle intercettazioni) e marinare da un entourage che si ha la colpa di avere scelto, ma si rischia di avere quella ancor più grande di non avere fermato.

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