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Schifani assedia Fini: "Faccia chiarezza"

Renato Schifani

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Se Schifani ha dovuto rompere il riserbo istituzionale che osserva scrupolosamente, per intervenire in modo deciso sul rapporto tra Fini e Berlusconi, è perchè la temperatura dentro il Pdl è ai massimi. In una intervista al Corriere della Sera, il presidente del Senato usa parole precise: «è opportuno un chiarimento diretto - dice - in modo che le eventuali dissonanze vengano chiarite direttamente e non attraverso i dibattiti pubblici. Senza una pace strategica si andrebbe a una rottura traumatica. Conosco Berlusconi: denuncerebbe il tradimento del patto elettorale». Un aut aut esplicito. Non parla di elezioni anticipate ma lascia intendere che senza un repentino cambio di percorso il rischio è reale. Ma è un rischio che il Paese non può permettersi di correre. Così, se non si arrivasse a un'intesa, prospetta Schifani, «nulla andrebbe escluso. Mi aspetterei una mossa da parte del premier dura e ad effetto».   Il banco di prova di una convergenza tra Udc e Pdl potrebbe essere proprio il voto del ddl intercettazioni. «La maggioranza voterà in modo compatto la riforma, e mi auguro che anche l'Udc possa farlo». E se la Lega ha alzato subito un muro all'ipotesi di un ravvicinamento dell'Udc al Pdl, il presidente del Senato dà credito all'aggancio dei centristi in maggioranza: «I due partiti continuano ad avere gli stessi valori, sui programmi ci sono molte affinità e la base elettorale dell'Udc guarda più al centrodestra che al centrosinistra». L'intervento di Schifani arriva a ventiquattr'ore dall'altolà del ministro leghista Roberto Maroni a geometrie variabili nella maggioranza con l'ingresso dell'Udc. Un ritorno di Casini «è impensabile» aveva tuonato Maroni. E ieri Bossi ha rincarato la dose: «Con Casini nessun dialogo, ci ha dato contro costantemente, in ogni occasione. Ha parlato male della Lega sempre, al Nord e al Sud. Noi siamo i suoi veri nemici». Ma Casini ha subito replicato: «Bossi e Tremonti stiano tranquilli non serve aggiungere un posto a tavola in cose vecchie che hanno dimostrato di non funzionare». Anche il sindaco di Roma Gianni Alemanno prospetta uno scenario catastrofico qualora ci fosse una rottura ufficiale tra Berlusconi e Fini. «Non vedo mezze misure, gruppi parlamentari separati nell'ambito dello stesso partito sono impensabili. Avremmo una scissione, si romperebbe il Pdl e il governo ne uscirebbe indebolito». Non c'è alternativa, «continuare questo stillicidio non è possibile, si rischia di logorare il Pdl». Questa è una prospettiva che nel partito tutti hanno ben presente. Anche se Berlusconi insiste sull'alto gradimento che continua ad avere, segnali di stanchezza da parte dell'elettorato cominciano ad arrivare. Anche il capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto ritiene che si sia arrivati a un punto di snodo nella legislatura in cui un chiarimento tra Fini e Berlusconi non è più rinviabile. Fini tace, mentre il sito web di Generazione Italia ricorda «il vivo sdegno» nato nel partito quando l'associazione finiana sostenne che anche Schifani si interessava attivamente di politica da «capocorrente».   Anche il finiano doc Carmelo Briguglio esce dal coro e accusa il presidente del Senato di «fare politica attiva» tanto quanto Fini e di essere «un leader di corrente che non vuole la concorrenza di altre correnti e capicorrente». E che «non ha gradito l'invasione della Sicilia da parte di Generazione Italia e di Liberamente, perchè così si depotenzia la sua corrente Schifani-Alfano, che da anni si muove nell'isola come gruppo organizzato».  

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