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Il Carroccio chiude la porta all'Udc

Umberto Bossi

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«Lega e Udc mai insieme». È Roberto Maroni a mettere subito le cose in chiaro: basta «fantapolitica». Il ministro dell'Interno non ha gradito la cena che si è svolta giovedì sera a casa di Bruno Vespa, che ha visto accanto, commensali dello stesso tavolo, Silvio Berlusconi e Pier Ferdinando Casini. Sulla terrazza di Trinità dei Monti c'erano anche il cardinal Tarcisio Bertone, il presidente di Generali Cesare Geronzi, il governatore di Banca d'Italia Mario Draghi e l'immancabile Gianni Letta (non Gianfranco Fini che, ha spiegato il padrone di casa, è stato invitato nei prossimi giorni con altre persone, ma ha declinato ndr). Troppo per una semplice cena di mezz'estate. Maroni non ha digerito: «È vecchia politica romana. Sono manovre che mi ricordano l'epoca del '92 e del '93, quando tutto si decideva in qualche salotto della Capitale». Per il titolare del Viminale, però, i tempi sono cambiati: «Il governo vada avanti e non insegua questi fuochi fatui». Non ci sono alternative, insomma. Berlusconi ne sia consapevole: o la Lega o l'Udc. Per l'esponente del Carroccio è «impensabile» un ingresso della formazione di Pier Ferdinando Casini al governo: «Sarebbe un tradimento del voto e degli elettori, non credo che un governo con la Lega all'opposizione durerebbe un minuto». Poi avverte i finiani: «Se qualcuno vuole uscire dalla maggioranza - è l'invito del ministro - lo faccia, ma sappia che se cade il governo si va al voto, non ci sono governi alternativi, se qualcuno vuole fare la "santa alleanza" contro la Lega non credo che i cittadini abboccheranno». Maroni non sembra spaventato dalla presenza, al tavolo di Vespa, di banchieri e monsignori. E a chi gli chiede se i «poteri forti» vogliono far fuori la Lega, lui sicuro risponde: «Poteri indeboliti, li definirei io, che vogliono contrastare la nuova situazione che con Berlusconi si sta realizzando e cioè una politica che riprenda in mano il suo ruolo, che è quello di assumere decisioni sulle grandi vicende strategiche. Non bisogna cedere alle pressioni di queste lobby». Il veto al nuovo ingresso dei centristi nella maggioranza arriva anche dal Senatùr e non si discute. Anche Roberto Calderoli, ministro della Semplificazione normativa, vuole fare chiarezza: «Noi - sostiene - rappresentiamo le riforme, il federalismo, uno Stato più moderno ed efficiente, mentre l'Udc è il simbolo del contrario, di un sistema che la Lega vuole cambiare». Tranquillizza tutti il diretto interessato: «Non mi è stata formulata alcuna offerta, né quella sarebbe stata la sede», spiega Casini. «È stata una cena piacevole - prosegue il leader dell'Udc - Vado spesso a cena con chi, come me, lavora all'interno delle istituzioni. Dialogo con Bersani e con D'Alema e non vedo perché non dovrei dialogare con il presidente del Consiglio». Poi Casini tranquillizza i suoi elettori: «Qualsiasi ipotesi di rimpasto di Governo non mi riguarda. È un problema della maggioranza e non di chi, come me, sta all' opposizione». Al leader dell'Udc non piacciono «gli atti di trasformismo», che definisce «degradanti per chi li fa e per chi apparentemente ne è beneficiario». La sua è una controproposta: «Qui serve una fase politica nuova. Se io fossi il presidente del Consiglio rivolgerei un appello alla parte più responsabile dell'opposizione, non solo all'Udc ma anche al Pd, per chiedere di concorrere assieme ad uno sforzo di solidarietà nazionale». Sull'ingresso dei centristi nel governo, Ignazio La Russa non se la sente di fare previsioni troppo nette. «Io dico solo mai dire mai - spiega il ministro della Difesa - e ricordo che una collaborazione al governo tra Lega e Udc c'è già stata. Dunque, la questione non è tanto lo stare insieme, la compatibilità, ma - sottolinea - il come ci si arriva». Il coordinatore del Pdl non dimentica il passato, ma crede Pdl e Udc siano in grado di voltar pagina e andare avanti: «È vero - aggiunge - che abbiamo avuto problemi sulla questione del bipolarismo ma sul resto le posizioni non sono così distanti. Dopo tutto - sottolinea - facciamo parte di una famiglia comune, quella del Ppe». Intanto la maggioranza è alle prese con le fibrillazioni dei finiani. Italo Bocchino spegne le polemiche, ma non rinuncia a mandare un messaggio al premier: «Siamo determinanti a tenere in piedi il governo - dice - e voteremo con la maggioranza fino all'ultimo giorno della legislatura. Il problema non è la compatibilità, ma la modalità - sottolinea - L'importante è che si tratti di un governo autosufficiente...».

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