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Il "compagno" Gifuni mette in crisi il Pd

Pierluigi Bersani

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Per la televisione ha vestito i panni di Papa Paolo VI e Alcide De Gasperi. Suo padre Gaetano, segretario generale onorario del Quirinale, deve molto ai democristiani Amintore Fanfani (che lo volle ministro nel suo sesto governo nel 1987) e Oscar Luigi Scalfaro (che lo chiamò sul Colle nel 1992). Da uno con questo curriculum ci si aspetterebbe un po' di tatto nell'affrontare una platea formata in parte da uomini e donne con lo scudocrociato nel cuore. Invece no. Fabrizio Gifuni aveva un sogno e salendo sul palco della manifestazione anti-Manovra organizzata dal Pd sabato a Roma l'ha realizzato. Fabrizio voleva pronunciare una frase. Una sola: «Vedete compagne e compagni». Con confessione successiva: «Era tanto tempo che la volevo dire questa cosa». Per la cronaca va detto che, quando Gifuni ha detto quelle parole la platea del Palalottomatica è esplosa in una vera e propria ovazione. Il che testimonia che probabilmente i nostalgici della falce e martello erano molti di più di quelli dello scudoscrociato. Ma il Pd, così almeno dicono coloro che hanno contribuito a fondarlo, ha l'obiettivo di unire le culture riformiste del Paese, non certo dividerle. E così ecco che contro il «compagno» Gifuni si scatena la sommossa popolare. O meglio Popolare con la «p» maiuscola visto che i più arrabbiati sono proprio gli ex Ppi. «Bersani faccia a meno di Gifuni. Il Pd - attacca il senatore Lucio D'Ubaldo - se vuole vincere, ha la responsabilità di parlare a una società dinamica e aperta al futuro. Pertanto serve a poco elaborare proposte innovative se poi la modalità e la sostanza dell'iniziativa politica consegna Bersani alla ridotta, evocata di fronte alla "sezionata" platea del Palalottomatica, dei vecchi "compagni e compagne"». Non è da meno il vicepresidente della commissione di Vigilanza Rai Giorgio Merlo: «O il Pd ripropone, seppur inconsapevolmente, la vecchia e ormai datata esperienza della sinistra italiana oppure si candida al governo del Paese senza ricorrere alle antiche categorie. I Gifuni di turno, con tutto il rispetto del caso, disegnano solo un ruolo di eterna opposizione» Mentre Stefano Ceccanti ricorda che nel 1998, agli Stati generali della sinistra che diedero vita ai Ds, il leader dei Cristiano sociali Ermanno Gorrieri «suscitò vibranti proteste chiedendo che nel nuovo partito, affinché ciascuno potesse sentirsi a casa propria, la si smettesse di chiamarsi "compagni"». E a Bersani scrivono anche i Giovani democratici romani: «Caro segretario, siamo giovani tanto nel senso anagrafico, quanto nel senso politico. Le parole compagni o compagne, la festa de l'Unità, sono parole e concetti che noi rispettiamo per la tradizione che hanno avuto ma che non rientrano nel nostro "pensare" politico e che quindi facciamo fatica ad accettare. Per noi i compagni sono quelli di scuola e se qualcuno ha da dirci qualcosa preferiamo che ci chiamino col nostro nome, preferiamo che ci chiamino democratici». In alternativa c'è sempre l'intramontabile: «Cari amici vicini e lontani».

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