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Bossi diventa un po' finiano

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Umberto Bossi e Gianfranco Fini

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Sulle intercettazioni è necessaria «un'accelerazione». «Per trovare una via d'uscita bisogna parlare con Berlusconi e Napolitano, perché se il presidente della Repubblica non firma siamo fregati». Concreto come sempre Umberto Bossi: sulle intercettazioni si può andare avanti solo se c'è intesa con il Colle. Il leader del Carroccio, dopo essersi detto pronto a prendere in considerazione l'ipotesi di modificare il testo licenziato dal Senato, ha incontrato ieri Gianfranco Fini. Il presidente della Camera aveva molto apprezzato «l'apertura» leghista dei giorni scorsi, tanto da aver ringraziato personalmente il Senatùr ieri in Aula quando si è avvicinato allo scranno presidenziale. Proprio in questa occasione Bossi ha chiesto un colloquio al presidente della Camera per fare il punto sul provvedimento. Fini lo ha subito accontentato. Dietro l'Aula di Montecitorio, nella sala del governo, e - a quanto pare - all'insaputa di Silvio Berlusconi, che ne sarebbe rimasto sorpreso, i due leader della maggioranza hanno messo a confronto le loro posizioni. Sono bastati venti minuti per mettersi d'accordo. Finito l'incontro, Bossi ha commentato: «Se si va a testa bassa non risolvi le cose. Se invece si tratta, si parla e si risolvono le cose. A me pare di vedere la via della soluzione». Contento del colloquio - secondo gli uomini a lui più vicini - anche Fini, che avrebbe invitato i suoi ad abbassare i toni, in attesa di segnali concreti dalle parti di palazzo Grazioli. Per il presidente della Camera le modifiche sarebbero un fatto di buon senso e il non forzare sulle nuove norme servirebbe anche a mantenere un clima parlamentare meno infuocato. La linea, insomma, è quella proposta ieri da Giulia Bongiorno, presidente della commissione Giustizia della Camera, nella sua relazione sul ddl intercettazioni. «Mi affido al principio platoniano per cui la confutazione è la migliore purificazione», ha detto. I nodi ancora da sciogliere, secondo la consulente giuridica di Fini, riguarderebbero la proroga della durata degli ascolti di tre giorni in tre giorni, l'intercettabilità dei cosiddetti «reati satellite», le multe agli editori, i quattro anni di condanna previsti come pena massima per le registrazioni fraudolente, la norma transitoria. «Sono riflessioni e perplessità che non è detto siano corrette o condivise, ma ho il dovere di esprimerle. Poi il governo potrà ritenere di condividerle o bocciarle», ha concluso la Bongiorno. Nelle reazioni al suo discorso i rappresentanti di Pdl e Lega si sono spaccati. Secco il no dei primi a nuove audizioni e a qualsiasi dilazione dei tempi. «Quelle di Bongiorno sono osservazioni fatte a titolo personale» ha commentato - infastidito - il capogruppo del Pdl in commissione giustizia, Enrico Costa. Possibilista, invece, Luca Paolini, deputato del Carroccio: «Francamente il meccanismo di proroga di tre giorni in tre giorni è poco pratico se teniamo conto anche del numero elevato di autorizzazioni da dare. Non credo che le audizioni siano una perdita di tempo. Ci impegniamo, quindi, per un migliore esame del testo». L'opposizione, dal canto suo, plaude alla possibilità di modificare il testo. Non sono piaciute invece le parole del leader del Carroccio. «Bossi non tiri il presidente della Repubblica per la giacca. La nostra Costituzione non contempla consensi preventivi», ha puntualizzato la deputata democratica, Sesa Amici.

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