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Berlusconi trionfa a Bruxelles E a Roma lo sgambettano

Il premier Silvio Berlusconi

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Silvio vola a Bruxelles. Per tutto il giorno si dedica alla politica estera e strappa un successo non da poco al consiglio europeo. Un «successo straordinario», lo considera il ministro dell'Economia Giulio Tremonti. Che spiega: «Ora l'Unione europea considera il debito pubblico nella sua dinamica e nella sua stabilità complessiva». Non ci sarà più un'applicazione rigida del Patto di Stabilità ma verrà considerata anche la sua dinamica e la sostenibilità complessiva. Passa la linea, insomma, di Berlusconi (che la Germania non voleva) di considerare tra i parametri del debito non solo quello pubblico ma anche il risparmio privato. Nel giro di incontri c'è anche David Cameron, il premier inglese al suo esordio, che chiede un faccia a faccia privato saltato per mancanza di tempo. Insomma, a sera, quando Silvio sale sull'aereo che lo riporterà a Roma, gongola. Non era esattamente lo stesso umore della mattina quando aveva letto i giornali e s'era ritrovato una serie di ricostruzioni esagerate. Tanto che, in una breve passeggiata a Bruxelles, risponde in malo modo ai giornalisti che lo attendono: «Non dico nulla, tanto vi inventate tutto». Ed è il sentimento che lo scuote per tutta la giornata. Basta allontanarsi qualche ora che nella Capitale succede di tutto. Bossi va a trovare Fini (dopo che i due se le sono dette di tutti i colori) e all'uscita si lascia scappare un sibillino: «Bisogna dare un'accelerazione per trovare una via d'uscita e per farlo bisogna parlare con Berlusconi e il capo dello Stato perché se il presidente della Repubblica non firma siamo fregati». Insomma, Gianfranco e Umberto si trovano improvvisamente d'accordo. Uno preoccupato che vada in porto questo disegno di legge sulle intercettazioni (e la settimana prossima non ci sarà perché volerà di nuovo in Israele) e l'altro timoroso dell'incattivirsi della situazione che rischia di mandare a monte il federalismo fiscale, i cui decreti attendono il varo: oggi dovrebbe essere approvato il primo su Roma Capitale (ridotti a 12 gli assessori, a 48 i consiglieri comunali e 12 i municipi). E non è finità perché sull'altro campo si gioca la partita più complicata, quella della Manovra. Già le Regioni hanno fatto le voce grossa e subito al fianco si è schierato anche Roberto Formigoni che di fatto ha picconato il decreto che porta la firma di Bossi e Tremonti. Ma di più hanno fatto i sindaci che ieri, incontrando il presidente della Repubblica, si sono detti pronti a scendere in piazza. Pronto ad aderire alla protesta persino il sindaco di Roma, Alemanno Un ulteriore colpo alla Manovra arriverà oggi a mezzogiorno, quando scadranno i termini per la presentazione degli emendamenti e i finiani hanno pronto un pacchetto di proposte che, pur lasciando inalterati i saldi finali, cambieranno i connotati al decreto. Spiega Silvano Moffa: «Sono tre linee di intervento: ricerca, cultura e pubblico impiego; sviluppo con le defiscalizzazioni per le imprese; Mezzogiorno». Il sottosegretario Andrea Augello si mantiene sul vago: «Non abbiamo ancora scritto i testi, completeremo il lavoro domani». Ma le linee di intervento sono chiare e le novità maggiori verranno dalle coperture. Per esempio verrà riproposta la «Robin Hood tax» che studiò Tremonti e che poi venne applicata in maniera blanda. C'è anche la copertura politica visto che proprio l'Ue ieri ha chiesto di intervenire sulle banche. I finiani chiederanno di aumentare la tassazione extra-profitti per ottenere un gettito maggiore di 200 milioni. L'altra batosta sarà per i petrolieri, con la riduzione al 10% delle agevolazioni verdi dei Cip6, nelle casse dello Stato dovrebbero entrare altri 300-400 milioni di euro. Ci sarà anche un emendamento sblocca fondi sequestrati alla criminalità organizzata. E si sta studiando anche un intervento più corposo per la riduzione delle Province: addio a una nelle Regioni piccole e due o tre in quelle più grandi. Il taglio potrebbe essere accompagnato da un testo costituzionale e consentirebbe di recuperare 180 milioni subito e fino a 1,5 miliardi in cinque anni. Fondi che andrebbero a sostegno del pubblico impiego (con lo sblocco del turn-over), in soccorso dell'Università, ai contratti delle forze dell'ordine e al rifinanziamento della legge per le giovani coppie. E se sulla Manovra Berlusconi potrebbe non alzare le barricate, il ddl sulle intercettazioni ormai lo deprime: «Non posso fare niente, ho le mani legate...». Ce l'ha con Fini: «Smarcandosi ha ispirato la sinistra e addirittura l'Europa contro di me. Ha dato adito di pensare che io sono alimentato da pulsioni antidemocratiche e questo non lo posso accettare. Certamente non devo prendere patenti di democrazia da lui...». Un lavoro che ha finito per portare l'ex premier belga Guy Verhofstadt a inviare una lettera ai Capi di Stato e di governo per spiegare come il ddl sulle intercettazioni va contro la democrazia italiana. Davvero troppo.

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