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Fini non ci sta e attacca: "Accordo non rispettato"

Gianfranco Fini, presidente della Camera

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«Ci stanno prendendo in giro. Nel testo mancano diversi punti che invece erano stati raggiunti nell'accordo». Gianfranco Fini non ci sta. Non parla in pubblico, non rilascia dichiarazioni e anche i finiani mantengono un profilo più basso. Ma questo non vuol dire che il presidente della Canera sia diventato d'un tratto muto. O che abbia deciso di subire in silenzio. Chi lo ha sentito in privato, chi lo ha incontrato racconta di un Fini tranquillo, che invita tutti alla calma. Ma piuttosto seccato. seccato per il comportamento di Niccolò Ghedini, il legale di Berlusconi che ha trattato con la finiana Giulia Bongiorno le modifiche al provvedimento sulle intercettazioni. «Si parla tanto dell'accordo raggiunto in ufficio di presidenza - racconta un finiano doc -. Ma nessuno dice che Ghedini gli emendamenti li ha mandati a Giulia mezz'ora prima dell'incontro. E nel testo finale mancano pure alcune delle nostre richieste». Ma che cosa sta particolarmente a cuore a Fini? Nelle conversazioni avute con i suoi, il presidente della Camera ha ripetuto, con un senso di fastidio, un esempio su tutto: le microspie nelle auto. «Avevamo detto che veniva autorizzate e invece sono state vietate», ha insistito. Le registrazioni ambientali, infatti, con il nuovo testo saranno proibite nei luoghi privati. In particolare nelle case. Fini avrebbe voluto che fossero consentite nella automobili. E non è un caso. Basti pensare che le registrazioni effettuati nella macchina con cui il boss dei casalesi, Giovanni Setola, andava a fare gli agguati sono al centro dell'accusa. Altra questione fondamentale per i finiani è quella del limite temporale. Attualmente le intercettazioni sono consentite per 75 ore e prorogabili per altre 72 ore, inizialmente l'allungamento era possibile solo per 48. Ma due o tre giorni per gli uomini del principale inquilino di Montecitorio non fa differenza, vorrebbero non ci fossero limiti così stretti e che non ci fosse un collegio di tre magistrati a valutare la proroga. Infine, il capitolo più spinoso è quello dei reati satellite tipo estorsioni: si parte da quelli e si arriva a quelli di mafia. E se Fini resta sulle sue posizioni, Berlusconi torna a tuonare in pubblico sebbene in privato si mostri più morbido. All'assemblea di Confocommercio, in mattinata, il premier torna a usare toni apocalittici: «Siamo tutti spiati, ormai non c'è più la libertà di parola, questa non è vera democrazia». Se la prende con la lobby dei magistrati e dei giornalisti che si oppone al provvedimento e protesta: «La situazione è intollerabile». Poi si lamenta: «Dobbiamo vedere cosa dirà il capo dello Stato e se riterrà di poter firmare. Poi sicuramente quando sarà diventata legge, non piacerà ai soliti pm della sinistra che ricorreranno alla Corte costituzionale che, secondo quanto ho sentito, potrebbe abrogare il provvedimento. Questa è la situazione del nostro paese dove dobbiamo lavorare». Parole che suonano come una frenata. Berlusconi torna a ora di pranzo a palazzo Grazioli dove incontra il vertice del Pdl e mentre la riunione è in corso Umberto Bossi, prima di andarsi a gustare un gelato da Giolitti, si lascia scappare: «Eventuali emendamenti al ddl sulle intercettazioni non verranno cestinati ma discussi». Berlusconi invece di modifiche non ne vuol sentir parlare. Sa che mettere di nuovo mano al testo metterebbe anche in discussione la sua leadership. Piuttosto sembra più aperturista sul rinvio a settembre tanto che al termine dell'incontro i leader del Pdl La Russa e Cicchitto dettano l'agenda prima della pausa estiva: manovra, riforma dell'Università, intercettazioni. E quella novità, il testo Gelmini, tra l'urgenza dei conti pubblici e il provvedimento sulle registrazioni, sembra voler suggerire un rinvio per quest'ultimo testo.  

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