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Tutti invocano i tagli ma soltanto sulla carta

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Nelloro, per una volta. Ad aprire le danze Roberto Calderoli: «Proporrò in sede di governo, quando affronteremo la manovra finanziaria, un taglio almeno del 5 per cento agli stipendi dei ministri e dei parlamentari come hanno fatto in Inghilterra e Portogallo», aveva detto il ministro della Semplificazione legislativa. «I tagli alle spese comporteranno sacrifici per tutti, i politici devono dare il buon esempio», aveva aggiunto. Giulio Tremonti, che l'entità di quei sacrifici la conosceva, aveva replicato a suo modo: «Il 5 per cento? Mi viene da sorridere. Per me è solo un aperitivo». Giù allora con la corsa al rilancio. Gli italiani non credevano alle loro orecchie. «Via il 10 per cento degli stipendi», proponeva Daniela Santanchè, sottosegretario all'Attuazione del programma di governo. «Ho intenzione di proporre ai capigruppo e al consiglio dei ministri di devolvere un mese di stipendio della politica in caso di ulteriori sacrifici richiesti ai cittadini», rilanciava Ignazio La Russa, ministro della Difesa. Applausi. «Due mensilità», superava Maurizio Gasparri, capogruppo Pdl alla Camera. Tutti in piedi. «Tre mensilità e non per demagogia» strillava Gianfranco Rotondi, ministro per l'Attuazione del programma. Standing ovation. Nel frattempo cominciava a circolare una bozza provvisoria della manovra. Le prime indiscrezioni facevano ben sperare: tagli a tutti gli organi costituzionali compreso il Quirinale. Ridotte del dieci per cento le indennità di deputati e senatori, azzerate quelle per le commissioni ministeriali. Scure su consulenze, auto blu, cocktail e ricevimenti. Sembrava quasi che il monito di Napolitano, che aveva predicato sacrifici distribuiti con equità tra tutti i cittadini - nessuno escluso -, fosse stato rispettato. E invece no. Quando la manovra viene presentata, si scopre che a pagarla saranno i cittadini, gli statali, i pensionati, i turisti. La norma, inserita nella bozza della manovra, che prevedeva di ridurre del dieci per cento la parte di stipendio dei parlamentari sopra gli ottanta mila euro è stata depennata. Camera e Senato dispongono, infatti, dell'autonomia di bilancio. Dovranno decidere loro se e quanto tagliare agli stipendi dei loro membri. Il provvedimento non può essere contenuto nel decreto legge del governo sulla manovra. In realtà, un articolo intitolato «Riduzione dei costi degli apparati politici» esiste. È il numero quattro. Esiste pure il tanto discusso taglio del dieci per cento: avranno stipendi più bassi gli esponenti di governo «che non sono membri del Parlamento nazionale». A conti fatti, sono dieci persone: Gianni Letta, Guido Bertolaso, Giancarlo Galan, Ferruccio Fazio, Bartolomeo Giachino, Giuseppe Pizza, Francesco Belsito, Enzo Scotti, Giuseppe Reina e Daniela Santanché, che è l'unica ad essere stata accontentata.

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