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Napolitano fa pressing sulla Manovra

Giorgio Napolitano

Berlusconi ha firmato, testo al Colle

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L'incontro era una prassi. Ogni anno, con l'appropinquarsi del 2 giugno, il ministro dello Sviluppo sale al Quirinale per portare la lista dei Cavalieri del lavoro da nominare per la festa della Repubblica. Questa volta è toccato al presidente del Consiglio andare al Colle per consegnare l'elenco, una quarantina di nomi che poi vengono prosciugati ai canonici venticinque. C'è stata un po' di discussione tra i due normale amministrazione visto che si tratta di tagliare alcuni tra i nomi più importanti dell'imprenditoria nazionale. Poi Napolitano ha raccontato del recente incontro avuto con Obama e Berlusconi del vertice Ocse dal quale è appena tornato. E poi il Capo dello Stato è andato dritto alla questione che già aleggiava nella stanza: che fine ha fatto la Manovra. Al Quirinale non è ancora arrivata. Berlusconi farfuglia qualcosa di vago, afferma che è di «difficile composizione», che ci sono ancora «numeri da mettere a posto». E comunque ha rimarcato che si tratta di difficoltà dovute alla complessità del decreto, di aver dovuto porre rimedio a un fatto improvviso come la crisi finanziaria scatenata dalla Grecia. Napolitano non ha nascosto una certa irritazione. Peraltro giustificata. La Manovra è stata approvata dal Consiglio dei ministri in tutta fretta martedì, tre giorni dopo non è ancora arrivata al Quirinale. Sul Colle inoltre risulta che non sia stata ancora coinvolta neppure la Ragioneria generale per il solito vaglio del testo. E tutto si complica dal fatto che la settimana volge al termine e i primi della prossima saranno interessati dal ponte lungo proprio del 2 giugno: sino a mercoledì gli uffici pubblici potrebbero essere a scartamento ridotto. Le Borse no, saranno comunque aperte e quella italiana potrebbe essere interessata da un nuovo attacco speculativo. Berlusconi è ben conscio di quale sia la situazione e assicura che lunedì arriverà sulla scrivania del presidente della Repubblica una bozza quasi definitiva. Al Quirinale l'attenzione si concentra su alcuni punti che potrebbero essere dubbi. Uno, quello più delicato, è relativo al condono edilizio; o meglio sulla sanatoria delle case fantasma. La materia urbanistica infatti è demandata alle Regioni, una questione che si era già posta con il condono di sei anni fa (ma allora sul Colle c'era Ciampi). Altro tema su cui si potrebbero accendere i fari della presidenza della Repubblica è quello dell'abolizione delle Province. Se mai ci sarà. Comunque nell'incontro tra i due presidenti non si entra nel merito del decreto. E non poteva essere altrimenti visto che il Capo dello Stato non ha ancora letto il testo. «Non l'ho ancora firmato», dirà poi il Cavaliere nel corso di una breve passeggiata nel centro di Roma una volta disceso dal Colle. In serata Palazzo Chigi fa sapere comunque che il capo del governo ha fatto una verifica e il testo della Manovra è pronto. E nella notte potrebbe essere giunto alla presidenza del Consiglio. Casomai la novità consiste nel fatto che Berlusconi stavolta vuole leggerla a fondo, verificarla nelle sue parti prima di mandare il testo al Quirinale. Il tutto condito anche da una situazione di vacatio al ministero dello Sviluppo per il quale il Cavaliere aveva promesso avrebbe tenuto brevemente l'interim e ormai lo tiene da oltre tre settimane e ieri al Quirinale ha ripetuto il no della Marcegaglia. Verso la quale Berlusconi continua a mantenere una certa irritazione. «Facile criticare, rimboccatevi le maniche e impegnatevi in questa fase» ha ripetuto a più di qualche amico imprenditore in questi giorni. E, intervenendo a Mattino Cinque, si fa ancora più esplicito: «Suggerisco di leggere con maggiore attenzione i 54 articoli della Manovra, a partire dal primo capitolo sulla competitività economica e la sostenibilità finanziaria» manda a dire alla presidente di Confindustria che aveva accusato l'assenza di una parte dedicata propriamente allo sviluppo. La partita ora però è sempre meno economica e sempre più politica. I finiani spalleggiano la Marcegaglia, i leghisti con Calderoli alzano la voce e chiedono subito i decreti attuativi del federalismo fiscale sempre più in bilico.

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