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Fra i litiganti Bossi gode

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Claudio Scajola annuncia le sue dimissioni da ministro dello Sviluppo

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Il copione finora è stato rispettato: i fronti giudiziari si stanno moltiplicando e nella maggioranza è scattata la sindrome dell'accerchiamento. «Clima inquietante» è la frase più gettonata in Transatlantico. Nessuno però finora ha fornito una ricetta sul come fronteggiare l'assalto lanciato dalle procure in ordine sparso. Quando il polverone si sarà abbassato, pochi processi resteranno in piedi, ma il danno politico sarà permanente e la corruzione resterà il cancro del sistema. Così la Prima Repubblica è andata in frantumi e senza una risposta politica anche la Seconda rischia di crollare. Ancora una volta, a trarre dal caos il massimo vantaggio con il minimo sforzo sarà un solo partito: la Lega. Nei primi anni Novanta fu il movimento di Umberto Bossi ad agitare il cappio in Parlamento e incassare i dividendi di Mani Pulite. La storia sembra ripetersi. Il caso che ha portato alle dimissioni di Claudio Scajola dovrebbe essere una lezione non solo per la maggioranza ma per il Parlamento intero. Un ministro che lascia l'incarico pronunciando la surreale frase «mi hanno pagato casa a mia insaputa» lascia dietro di sé una scia prima di sconcerto e poi di rabbia che il cittadino non dimentica. In 48 ore il partito di maggioranza ha perso il ministro dell'Industria e ha visto uno dei suoi coordinatori (Denis Verdini) finire sotto schiaffo giudiziario con l'accusa di corruzione. Tralascio gli altri guai che riguardano personaggi minori che però sul territorio hanno un ruolo. Ce n'è abbastanza per non dormire la notte. Il tam tam delle procure entra in una casa percorsa da una guerra di nervi tra Fini e Berlusconi dagli esiti imprevedibili. E se rivolgiamo lo sguardo sull'opposizione, quella che dovrebbe essere l'alternativa del Paese, vediamo un Pd semplicemente alla canna del gas. Chi vota centrodestra vede il paradossale spettacolo di un partito in preda a una lotta fratricida e si chiede «chi sarà il prossimo»? Chi ha ancora fiducia nel centrosinistra sospira e dice «quando usciremo dal tunnel?». In questo scenario l'unico partito che offre un'immagine di compattezza e solidità è la Lega. Ha un capo indiscusso, una classe politica di amministratori concreti, parole che trasudano «legge e ordine», al punto che il ministro degli Interni Roberto Maroni ieri ha contestato platealmente il provvedimento «svuota carceri» preparato dal ministro della Giustizia Angelino Alfano. Il picconamento a senso unico della magistratura aiuta il Carroccio a rafforzare questo profilo. La questione morale tocca tutti, tranne le camice verdi. La crisi economica e le tensioni nell'area dell'euro alimentano nei distretti industriali l'idea che il protezionismo di Bossi sia la ricetta giusta per salvare la produzione e il posto di lavoro. Prima di perdere la testa e offendere con battute da osteria un collega, Massimo D'Alema a Ballarò l'altra sera stava svolgendo un'analisi corretta del problema: «La politica deve agire, certi sintomi non vanno presi sottogamba, altrimenti non lamentiamoci se poi interviene la magistratura a rimettere le cose a posto». D'Alema non dice - ma lo sa benissimo - che la magistratura non rimette per niente le cose a posto. Può spazzar via, come una scopa, leader e partiti, ma non sostituisce la politica, caso mai apre la strada a movimenti nuovi e imprevedibili (come accadde con la discesa in campo di Berlusconi nel 1994) o mette il turbo a partiti che improvvisamente diventano l'unica scelta possibile per i delusi dal sistema. È la situazione ideale per il partitone verde.   A Bossi basterà davvero mettersi sotto l'albero e aspettare che le pere caschino. Il ritorno in grande stile delle inchieste giudiziarie ha scaricato la pistola delle elezioni anticipate. In queste condizioni, con i sondaggi che segnano un calo di consensi, andare al voto per il Cavaliere diventa rischioso. Di questo approfitta Fini. Il presidente della Camera non ha fretta. La sua a questo punto diventa una corsa lunga. Può indebolire Berlusconi, sottolineare che non esiste alcun complotto giudiziario, fare contemporaneamente il pierino e il Presidente della Camera, il capocorrente e lo statista super partes. Situazione eccellente per lui e per i finiani che in televisione hanno una tribuna giornaliera in quanto esponenti di un'altra fazione. Fateci caso, siamo di fronte a una bizzarra situazione: i finiani sono nel Pdl, ma nei salotti del piccolo schermo presenziano in quanto esprimono una posizione diversa dal partito in cui sono stati eletti. Siamo di fronte a un'esaltazione del pluralismo? O non è forse una incredibile lottizzazione correntizia della televisione? E perché non applicare questo schemino spartitorio anche all'opposizione? Potrebbero invitare un finiano, un berlusconiano, un franceschiniano e un dalemiano a parlare di varia umanità. È una babele che dà spazio di manovra a Fini, ma alimentando le divisioni del Pdl finisce per consegnare alla Lega lo scettro del partito che ha una linea chiara e riconoscibile dagli elettori. Bossi ha davanti a sé una prateria e mire ben più grandi di quelle che gli vengono attribuite dai commentatori della politica. Umberto governa il Veneto e il Piemonte, è solidissimo in Lombardia, punta a conquistare la guida della città di Milano. La macroregione del Nord, immaginata dal professor Gianfranco Miglio agli albori della Lega, è praticamente una realtà e il varo del federalismo fiscale offrirà al Carroccio un formidabile carburante per dare ancora più autonomia a una Padania che sogna di togliersi di dosso il fardello del Meridione. Non c'è bisogno di parlare di secessione, nei fatti l'Italia è già a due velocità.   Il programma politico della Lega per i prossimi anni è stato ben riassunto da Luca Zaia, governatore del Veneto: «Questa nazione è prossima al collasso se da subito non si mette mano ad una profonda revisione del patto sociale. Non siamo disposti a nessuna forma di solidarietà se questa non si accompagni ad un reale riscatto, etico, civile, economico e operoso di questi territori. Noi non assisteremo passivamente al sacco del Veneto per mantenere chi non sia disposto da subito a fare ordine e pulizia in casa propria». Mi pare chiaro. Dopo centocinquant'anni, fatta l'Italia, bisogna ancora fare gli italiani.  

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