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Claudio Scajola annuncia le sue dimissioni da ministro dello Sviluppo economico

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Claudio Scajola si è dimesso. É la seconda volta che prende una decisione così grave mentre svolge il lavoro di ministro della Repubblica. Capisco il suo sconforto, ma un politico deve lasciare quando la situazione diventa un problema per le istituzioni. Avevo auspicato un passo indietro da parte del ministro. Ha fatto la cosa giusta. La prima da quando è cominciata la saga sull'acquisto della casa con vista sul Colosseo. E ora potrà difendersi meglio. Quando Silvio Berlusconi dice «abbiamo perso un bravo ministro», non usa parole di circostanza. Scajola nel suo lavoro ha messo energia e passione. Dovrà porne altrettanta per fugare ogni dubbio e restare a testa alta in Parlamento. In questa storia sono stati commessi molti passi falsi. Si è costruita una «Casa degli errori» che va rasa al suolo subito. Il Pdl deve ritrovare se stesso perché il tam tam delle redazioni dice che siamo all'inizio di un tour de force giudiziario in cui si dovrà distinguere ciò che va conservato da ciò che va isolato e tagliato di netto. Quando un consigliere comunale di Milano fu pizzicato con le mani nella marmellata, Silvio Berlusconi si infuriò e disse a chiare lettere che il partito doveva vigilare e mettere mano alla selezione della classe dirigente. Il Cavaliere sa bene che il cittadino non perdona simili comportamenti. Le angherie subite nella Prima Repubblica non si possono più replicare nella Seconda e l'opinione pubblica oggi è attenta e sanziona con il voto al di là di ogni steccato ideologico. La vicenda Scajola è un gong robusto. Ma non è l'unico e al centro e in periferia i segnali sulla necessità di un cambio di passo nella gestione del personale politico si moltiplicano. A Roma ieri la magistratura ha bussato alla porta del Campidoglio per notificare due avvisi di garanzia a un ex assessore della giunta Veltroni (Roberto Morassut) e all'attuale titolare dell'Urbanistica (Marco Corsini). Sono accusati di concorso in corruzione per aver favorito una società che ha in appalto la gestione delle pratiche del condono edilizio. Sono accuse che ovviamente vanno provate e fino a prova contraria per tutti vale la presunzione di innocenza. In cronaca però per ora restano ventiquattore da dimenticare per la politica all'ombra del Cupolone. Mentre Scajola si dimetteva e in Campidoglio si consegnavano plichi giudiziari, un esponente del Pdl, il senatore Giuseppe Ciarrapico veniva indagato per truffa ai danni dello Stato e gli venivano sequestrati beni per venti milioni di euro. Scajola non è neppure indagato, Corsini e Morassut si dichiarano sereni e fiduciosi nella magistratura, Ciarrapico dice che si tratta di «un'indagine dormiente guarda caso ritirata fuori per aumentare i rumors giudiziari a carico del Pdl. Chi più ne ha più ne metta». Il problema è che non bisogna scambiare la politica per un processo. Quando la magistratura agisce, l'agenda del Palazzo - qualunque esso sia - cambia le priorità e i programmi previsti fino a quel momento. Sarebbe sbagliato farsi prendere dalla sindrome d'accerchiamento, ma sarebbe un peccato di superbia pensare di potersela sbrigare con le frasi di rito e non spiegare ai cittadini che cosa sta succedendo. Mai come in questi casi la comunicazione è fondamentale. E quello di Scajola è un ottimo caso per non compiere gli stessi svarioni. Il ministro quando è scoppiata l'inchiesta ha risposto prima negando decisamente e parlando di «processo mediatico», poi di fronte all'onda montante e a una serie di contestazioni sempre più millimetriche ha accennato un'autodifesa scomposta con un paio di interviste che hanno peggiorato la situazione. In questi frangenti tacere non si può, ma neppure dare fiato alle trombe senza avere davanti uno spartito coerente, chiaro e credibile. I cittadini giudicano prima dei tribunali, si fanno idee cristalline sui comportamenti dei politici e raramente si sbagliano. La storia dei processi di Berlusconi sta lì a dimostrarlo. Il Cavaliere è stato sottoposto in questi sedici anni ad attacchi concentrici che puntavano non a stabilire la sua colpevolezza, ma a fiaccarlo e farlo fuori politicamente. Gli elettori non hanno atteso i dibattimenti per esprimere il loro giudizio e con il voto hanno dato a Berlusconi la fiducia per andare avanti, hanno riconosciuto la strumentalità e l'origine politica delle inchieste. Silvio governa perché è credibile. Non possiamo però applicare questo schema al resto della classe dirigente del Pdl. La storia politica di Berlusconi non è clonabile e quando i prossimi dossier giudiziari pioveranno in cronaca non sarà sufficiente fare quadrato. Ci sono inchieste che hanno natura politica e si riconoscono lontano un miglio, solitamente hanno migliaia di pagine di teoremi e poche prove. Ma esistono anche indagini robuste, che poggiano sui fatti, delle quali bisogna tenere conto per articolare risposte politiche credibili e autorevoli. Non siamo di fronte a una nuova tangentopoli, quel sistema è finito in archivio con il tramonto della Prima Repubblica, ma la corruzione non è finita, è un fenomeno persistente nella storia e va combattuto con le armi della giustizia ma soprattutto della politica. Questo governo ha fatto moltissimo nella lotta alla criminalità organizzata, il ministro degli Interni Roberto Maroni si è distinto per tatto e polso istituzionale. É giunta l'ora di dare un segnale anche sul versante dei comportamenti della classe politica e non solo. Non bisogna cedere alla cultura del sospetto, ma neppure far passare l'idea - sbagliata - di una maggioranza o di un intero Parlamento travolto dalla questione morale. La politica ha degli anticorpi molto forti e strumenti eccezionali per combattere questi fenomeni. I tribunali hanno i loro riti e vanno avanti con inesorabile lentezza. Ma la politica deve avere il piè veloce e la mente lucida. Governo e maggioranza dovranno giocare d'anticipo per non farsi infilzare dall'opposizione (ieri Massimo D'Alema ha dato segni di vita parlando guarda caso di «questione morale») e soprattutto guardarsi dal fuoco amico. Gianfranco Fini ha subito colto la palla al balzo per rilanciare il tema della legalità, i finiani hanno insistito per mettere nero su bianco il disegno di legge sulla corruzione. Così i processi giudiziari diventano materiale incandescente per fare battaglia politica e favorire l'indebolimento di una maggioranza che paradossalmente dopo la schiacciante vittoria delle elezioni regionali fa i conti con i suoi problemi di tenuta, al centro e in periferia. C'è una casa degli errori e forse anche dei favori, ma è ancora abbastanza solida per salvarla dall'ingiusto destino di casa degli orrori.

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