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Assenti di lusso: Pdl a casa A spese degli italiani

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Governo battuto alla Camera sul ddl lavoro. L'esultanza di Bersani

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Qualcuno prova a a trovare subito il capro espiatorio che, in questo momento storico, non possono che essere i «finiani». Certo, il governo è stato battuto in Aula alla Camera su un emendamento presentato dal Pd su cui aveva espresso parere negativo. È stato battuto durante l'esame del ddl lavoro, quello che Giorgio Napolitano non ha firmato dando in qualche modo ragione alla lunga battaglia condotta dall'opposizione. Ed è stato battuto di un solo voto (224 contrari contro 225 favorevoli). Ma sostenere che sia stata colpa dei «finiani», è piuttosto ardito. Per dirla con le parole di Gianfranco Fini «siamo alla caccia alle streghe». Perché anche se la pattuglia di deputati vicini al presidente della Camera era in gran parte assente, erano in buona compagnia. Su 269 appartenenti al gruppo Pdl, infatti, erano solo 174 i presenti al momento del voto. Cui vanno aggiunti anche gli 11 assenti della Lega.   Insomma, alla fine, alla maggioranza sono mancati più di un centinaio di voti. Un po' troppi per essere etichettati come «finiani». In ogni caso Fini avrà sicuramente una spiegazione sul perché, al momento del voto, in Aula non fossero presenti, in rigoroso ordine alfabetico: Antonio Angelucci, Claudio Barbaro, Italo Bocchino, Carmelo Briguglio, Antonio Buonfiglio, Nicolò Cristaldi, Aldo Di Biagio, Francesco Divella, Fabio Granata, Antonino Lo Presti, Flavia Perina, Enzo Raisi e Giuseppe Scalia. Tutti assenti ingiustificati. Ma ugualmente, la «fazione» più vicina a Silvio Berlusconi, dovrà spiegare in cosa fossero impegnati, ad esempio, il ministro Mariastella Gelmini, l'avvocato del premier Niccolò Ghedini, Michaela Biancofiore e il sottosegretario Nicola Cosentino. Quando manca un voto, si sa, tutti finiscono sotto i riflettori. Anche quelli che formalmente risultano «in missione» (per l'occasione erano 50 del Pdl e 8 della Lega). Solitamente si tratta di ministri, sottosegretari e presidenti di commissione che, si sa, hanno impegni istituzionali da adempiere e quindi giustificano la loro assenza. I «finiani» Andrea Ronchi, Adolfo Urso, Roberto Menia e Silvano Moffa, ad esempio, erano in missione. Ma stavolta era particolarmente nutrita anche la pattuglia dei «deputati semplici». Tra gli altri: Riccardo Migliori, Marco Zacchera, Mario Valducci, Giorgio Jannone, Antonio Mazzocchi, Deborah Bergamini, Renato Farina, Guglielmo Picchi, Giuseppe Galati, Giuseppe Palumbo, Angela Napoli, Gaetano Pecorella e Luigi Vitali. E, soprattutto, il capogruppo del Pdl Fabrizio Cicchitto. Insomma, nessuno può fare la morale. Anche se l'astensionismo del Popolo della libertà comincia a diventare un problema cronico. Chi si occupa di statistiche dice che è la 46ª volta, dall'inizio della legislatura, che il governo va sotto nell'Aula di Montecitorio. Ed ogni volta, a finire sul banco degli imputati, sono gli assenti. Da tempo immemore si minacciano sanzioni ma la musica, a quanto pare, non cambia. Così mentre Giancarlo Lehner litiga in Transatlantico con Valentino Lo Presti e Fabio Granata (il primo si domanda provocatoriamente se la caduta sia da attribuire ad un «agguato» finiano e i secondi non la prendono bene), al resto della truppa non resta che cercare di gettare acqua sul fuco. «È un'indecenza - commenta Cicchitto -, credo che dovremmo arrivare a provvedimenti ulteriori rispetto a quelli immaginati. È un fatto che non ha risvolti politici ma è determinato da sciatteria, dalla sottovalutazione del numero delle presenze in Aula. È un dato negativo che prescinde dal dibattito politico». Magari, invece di minacciare sanzioni, qualcuno dovrebbe spiegare agli italiani come mai un deputato che riceve una discreta quantità di euro per recarsi in Parlamento e votare provvedimenti che interessano la vita di tutti, preferisce starsene comodamente a casa. Altro che sciatteria, è uno schifo.  

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