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Fini contro Apicella & C.

Fotomontaggio con Gianfranco Fini e il cantante Mariano Apicella

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L'acme del discorso di Gianfranco Fini ieri sera a Ballarò è stato raggiunto quando il presidente della Camera s'è scagliato contro «Meno male che Silvio c'è», uno degli inni del Pdl. Giovanni Floris ha svelato l'opposizione canora del presidente della Camera contro Apicella & C., la traccia da seguire per chi fa il cronista politico: la spia di un malessere non sul profilo politico del partito ma sulla figura di Silvio Berlusconi. Il programma finiano minimo? Demolire l'inno del Pdl e difendere le sue cravatte rosse che non sono «un'ideologia». Fini dixit: «L'inno non mi piace, non perché ci sia Silvio, ma unicamente perché un partito non ha bisogno di inni, in una fase post ideologica». Tempi duri per Andrea Vantini, autore della canzone incriminata e Mariano Apicella, colonna sonora ufficiale del Cav. Non è un problema di congresso. Siamo di fronte all'insofferenza verso il leader. E quando Antonio Di Pietro chiosa il discorso di Fini con un beffardo «benvenuto tra noi», appare chiaro che non siamo di fronte alla fondazione di una semplice corrente interna al Pdl, ma a una campagna mediatica del presidente della Camera contro il presidente del Consiglio. Montecitorio contro Palazzo Chigi. Chi vuole nascondere questo fatto dietro il velo della dialettica istituzionale non aiuta il cittadino a capire che cosa sta succedendo. La professione di lealtà al governo fatta da Fini nel salotto di Giovanni Floris non vale una cicca se si guarda non alle parole ma alle azioni concrete. L'altro ieri dalla Annunziata, ieri da Floris e oggi da Vespa. Quella di Fini è un'operazione di comunicazione politica massiccia, dura. Perfino fisica. Quella di Fini è una politica di «stop and go» che ha una sua ragione d'essere se analizziamo i rapporti di forza dentro il Pdl. Fini non può costituire - almeno oggi - un gruppo autonomo in Parlamento, non può neppure pensare di lanciare una corrente forte dentro il Pdl, semmai deve gestire una crisi di consenso personale tra gli elettori del centrodestra e il malumore e le divisioni tra i suoi sostenitori un po' entusiasti e un po' smarriti nel ritrovarsi osannati dai nemici di un tempo. Ecco perché Gianfranco un giorno molla e l'altro tira. La mattina rassicura con parlar forbito e la sera attacca con frustate retoriche. Chi pensa che questo comportamento della terza carica dello Stato sia frutto di sola improvvisazione si sbaglia di grosso.   Non arrivo a pensare - e a sopravvalutare - che ci sia dietro chissà quale pianificazione e macchinazione politica, ma Fini è un leader di lungo corso che non si può liquidare come un novellino, un pivello alle prime armi in Parlamento. Nonostante i molti errori, il presidente della Camera ha dalla sua una capacità retorica riconosciuta da tutti e se potesse contare al suo fianco sul lavoro di una squadra intelligente, sarebbe letale. Purtroppo per i finiani, il presidente dei Montecitorio resta «solo» insidioso. Lo è per la manifesta incapacità dei finiani di elaborare qualcosa di più compiuto rispetto a uno slogan o a un articoletto su Fare Futuro. L'assenza di spessore politico, l'abbandono alla sola tattica, è il limite di Gianfranco. Tutto questo, unito a una dose sopra la media di fastidio per la figura politica di Berlusconi, farà compiere a Fini qualche passo falso. Mentre Italo Bocchino è un iceberg, un calcolatore, Fini di fronte al video tradisce palesemente i suoi sentimenti. Il suo sorriso beffardo è un biglietto da visita che un osservatore attento legge benissimo: la situazione non gli piace e proprio non ci sta a farsi spiegare da Silvio come gira la politica. Le rassicurazioni istituzionali in questo caso sono come le chiacchiere: «stanno a zero». Dentro il gruppo dei finiani in questo momento infuria una battaglia enorme. Italo Bocchino ha presentato le dimissioni da vicecapogruppo a Montecitorio, è in rotta di collisione totale con Fabrizio Cicchitto (in realtà i due lo erano fin dal primo giorno della legislatura) e non ha l'appoggio di tutti i finiani, anzi. Nella corrente di Gianfranco le divisioni sono pesanti: da una parte gli ideologi, i professori, gli esponenti del «fighettismo», dall'altra quelli che forse fanno meno rumore e opinione, ma sul territorio hanno i voti e il consenso. La falange finiana s'è divisa e di fronte alla controffensiva dell'esercito berlusconiano non riesce a fare la testuggine per proteggersi. Fini cerca di tenere insieme la baracca. Non è facile, ma il suo ruolo di terza carica dello Stato gli dà una visibilità e un accesso all'informazione formidabili e senza i limiti posti al presidente del Consiglio. Oggi Fini racconterà la sua novella nel salotto di Bruno Vespa. Ha cominciato la sua campagna Porta a Porta.  

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