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Bersani s'aggrappa a Fini

Pier Luigi Bersani

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«Forse si aggiusteranno ma non si risolveranno». Pier Luigi Bersani ne parla appena, davanti alla direzione del Pd riunita a Sant'Andrea della Fratte. Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi sembrano a un passo dalla rottura definitiva, ma il segretario democratico quasi non se ne cura. Un rapido accenno e via a parlare di lavoro, riforme, della necessità di costruire un'alternativa, un «progetto per l'Italia». Ma quelle poche parole, buttate lì quasi per caso, sono molto di più di un commento distaccato. Piuttosto un grido di speranza. Perché, anche se non lo dice chiaramente, il leader del Pd si augura che il presidente della Camera continui a fare il «rompiscatole», ma nel Pdl. Il perché è semplice. Se Fini rompesse, Berlusconi potrebbe seriamente pensare al voto anticipato con risultati nefasti per i Democratici. Il partito, infatti, non può permettersi un'altra campagna elettorale. Non ha un leader in grado di sfidare il Cavaliere e, soprattutto, dovrebbe sceglierlo attraverso le primarie. Che, tradotto, significa battaglia senza esclusione di colpi tra le correnti interne e il rischio concreto di un'opa ostile da parte degli alleati. E forse non è un caso che mentre Bersani cerca in tutti i modi di scacciare l'incubo delle elezioni, Antonio Di Pietro spinge ostinatamente in direzione opposta. Ecco allora che Pier Luigi si aggrappa a Fini. Anche perché le divisioni interne al centrodestra hanno già prodotto un piccolo miracolo. Solo tre giorni fa la direzione sembrava un appuntamento fondamentale per il futuro del Pd. Era lì, infatti, che doveva andare in scena la resa dei conti del dopo-Regionali. Qualcuno aveva dipinto scenari apocalittici e ipotizzato scissioni. Invece non è praticamente successo nulla. Bersani ha corretto l'analisi esaltante del voto, ha attenuato i toni trionfalistici, ma ha anche usato le spaccature del centrodestra per dare manforte alla sua tesi. Non è vero che Berlusconi ha vinto, ha spiegato, altrimenti non starebbero lì a litigare. Una mano tesa alla minoranza del partito che è stata prontamente raccolta. Il segretario ha anche cercato di smorzare le polemiche nate attorno alle proposte sulla giustizia lanciate sulle pagine del Foglio da Andrea Orlando. «La giustizia - ha detto - è un servizio che non funziona per i cittadini e noi lo vogliamo affrontare da quel lato. Le nostre proposte sono in polemica con le leggi ad personam. Si può essere d'accordo o meno, ma non esiste che nella nostra squadra, quando si presentano delle proposte, si parli di intelligenza con il nemico». Insomma quella del responsabile giustizia del partito è una piattaforma su cui aprire la discussione, ma guai a chi intende strumentalizzarla per «picconare la ditta». Quanto poi alle riforme istituzionali, anche su questo punto Bersani ha tentato una mediazione. Anzitutto ha ribadito che le ipotesi presentate da Roberto Calderoli al Capo dello Stato sono «impotabili». Al contrario il Pd chiede una nuova legge elettorale che però mantenga intatto il sistema bipolare (niente tedesco come vorrebbe Massimo D'Alema). E, soprattutto, boccia il semipresidenzialismo alla francese puntando su un rafforzamento dei poteri del premier e della funzione di controllo del Parlamento. Se poi Berlusconi fosse tentato da una «forzatura plebiscitaria» sappia che il Pd lavorerà per una «convergenza democratica con chi vuole difendere la Costituzione». Parole che Dario Franceschini ha accolto favorevolmente, lodando il segretario. Anche se nel suo intervento non ha mancato di tornare sulla polemica che venerdì lo aveva visto contrapposto a Massimo D'Alema: «La situazione è mobile, ma non bisogna fare a Fini il torto di considerarlo "di qua" e coinvolgerlo in scenari confusi perché sta facendo una battaglia per una destra normale, ma è un nostro avversario. Oltretutto faremmo un regalo a Berlusconi se facessimo credere che Fini sta facendo intelligenza con il nemico». La risposta di Baffino non si è fatta attendere: «Non vorrei che per eccesso di zelo verso il bipolarismo gli si chiedesse di non disturbare Berlusconi. Il Pd deve dialogare con lui perché ha introdotto, su alcuni contenuti essenziali, un punto di vista su cui un grande partito riformista deve interloquire». Schermaglie che non mettono in crisi la rinnovata unità tra Bersani e Franceschini. Un asse benedetto da Franco Marini, ma anche dal veltroniano Walter Verini che, al termine della direzione ha commentato: «È stato fatto un passo avanti». Anche Beppe Fioroni è parzialmente soddisfatto: «C'è stato un utile chiarimento mi auguro che l'amalgama del Pd regga e si migliori». Critico, invece, Paolo Gentiloni: «C'è stato uno sforzo per fare sintesi ma non c'è alcuna svolta». Forse la resa dei conti è solo rinviata. Magari al 22 maggio, quando il Pd ha convocato la sua Assemblea nazionale. Fini permettendo.

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