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Non si sono mai amati

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Non si sono mai amati. E i fini di Gianfranco da troppo tempo erano fuori dagli schemi del Pdl. L'unione di fatto tra Berlusconi e Fini si è consumata e, a questo punto, una riconciliazione sarebbe sbagliata. È finita come doveva finire: a piatti rotti e torte in faccia. Diamo un modesto consiglio ai portatori di pace: lasciate perdere. Fini e Berlusconi devono percorrere strade separate e il presidente della Camera deve avere il coraggio di trarre le conseguenze delle sue azioni: se ne ha la forza, faccia il suo gruppo e lasci lo scranno di Montecitorio; in caso contrario, accetti una regola aurea della democrazia, governa e decide chi ha i voti. Non significa ridursi al silenzio, ma comprendere che in un partito il dissenso non si esprime nelle forme scelte da Fini. Se questa sinistra applaude un presidente della destra, qualcosa non torna. Il presidente della Camera non ha mai digerito la leadership di Berlusconi, lo ha sempre considerato un parvenu della politica, un fenomeno che prima o poi sarebbe passato. Risultato: il Cav continua a conquistare il voto degli italiani e Fini ha perso il treno del centrodestra. La rottura con Berlusconi era inevitabile e il risultato delle elezioni regionali l'ha solo accelerata. Il Cavaliere però non è uccellabile come speravano i suoi avversari interni. Berlusconi ora può concedersi il lusso non solo di perdere Fini, ma persino di chiamare il Paese alle urne per rifondare il centrodestra. Le elezioni anticipate evocate ieri dal presidente del Senato Renato Schifani non sono uno scenario scolastico, ma un'opzione sul tavolo del presidente del Consiglio nel momento in cui dovesse scattare la pazza idea: faccio gruppi politici autonomi alla Camera e al Senato, appoggio il governo ma logoro Berlusconi. É uno schema che punta a confondere il risultato delle urne e creare le condizioni per un putsch di Palazzo. Alcuni senatori e deputati accarezzano quell'idea. Tutto legittimo, solo che non hanno previsto un piccolo intoppo: rischiano il diluvio del giudizio popolare. Si imputa la rottura al ruolo forte della Lega nella maggioranza. A Fini non piace. Il problema è che in politica non vale ciò che piace, ma ciò che conta. Il partito di Bossi è stato decisivo al Nord e senza il Settentrione non si governa il Paese. Fini aveva tutti gli strumenti politici per fronteggiare il Carroccio: poteva strutturare meglio An al Nord quando era leader di partito, fare qualche immersione in meno e qualche comizio in più a Milano, Venezia e Torino. Ha preferito un altro tipo di lavoro politico e ha raccolto buoni frutti: ha partecipato alla fondazione del Pdl ed è diventato presidente della Camera, terza carica dello Stato. Ogni tanto bisognerebbe avere l'umiltà di voltarsi indietro. Berlusconi non ha mai gestito il partito come un leader del Novecento, non ha mai amato le segreterie e i rituali della Prima Repubblica. É un limite, ma nel caso del Cavaliere anche una forza che gli ha permesso di superare prove che avrebbero fiaccato chiunque. Fini ha sempre arricciato il naso di fronte a questo modo di concepire la politica. Peccato. Perché non ha mai compreso che Berlusconi, spesso nella confusione e senza averne piena consapevolezza, è stato un grande innovatore. A Fini sarebbe bastato restare sulla scia del Cavaliere, continuare la tradizione della destra, seguire il Dio, Patria e Famiglia in cui si riconosce il suo popolo, per ereditare la leadership del centrodestra italiano. Ora è impossibile. Qualche settimana fa, a piazza San Giovanni, quel popolo non ha vissuto la sua assenza sul palco come un dramma, ma come un fatto naturale. Fini era già fuori dall'immaginario dell'elettore che vota il Pdl. E Berlusconi non ha un nemico in più perché Fini si era già iscritto da tempo tra gli antagonisti. Cosa succederà ora? Berlusconi dovrà stringere i bulloni della maggioranza, richiamare i capigruppo (a proposito: cosa farà Italo Bocchino?) a un lavoro più serrato e i parlamentari a rispettare il mandato popolare lavorando. Paradossalmente, viste le ultime prove in aula, potrebbe essere perfino una salutare sveglia. L'opposizione ha un'occasione per giostrare e cercherà di usare Fini come una motosilurante contro il governo. Nel Palazzo si ipotizza un soccorso rosso per consentire la costituzione dei gruppi parlamentari finiani. Vedremo. Fino all'altro ieri avevamo uno scenario in cui le urne ci consegnavano un premier destinato a governare tre anni e in rampa di lancio per le elezioni del 2013, da oggi tutto è possibile, anche una corsa al voto anticipato. Allacciate le cinture, si parte.

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