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Il Pd nel Lazio è tornato Ds

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seguedalla prima La questione di fondo riguarda gli equilibri nel partito e si riflette nel quadro nazionale. La strategia D'Alema-Bersani ha fatto un buco nell'acqua: l'orizzonte socialdemocratico non funziona. Eppure il Lazio è a senso unico: tutti i ruoli importanti sono coperti da ex Ds. I popolari non ci stanno e reclamano più spazio per l'area cattolica. Il puzzle politico è monocolore, sembra di essere tornati indietro nel tempo: il presidente della Provincia di Roma, unico superstite della valanga Pdl, è Nicola Zingaretti, ex Ds schierato con Bersani. Stessa provenienza del segretario romano Marco Miccoli e di quello laziale Alessandro Mazzoli. Non solo. Il capogruppo del Pd in Campidoglio è Umberto Marroni, anche lui ex Ds, quello in Consiglio regionale dovrebbe diventare Esterino Montino, che ha la stessa provenienza. Dov'è finita quella che un tempo si chiamava Margherita e che raccoglieva gran parte dell'area moderata e cattolica? Se lo sono chiesti molti esponenti popolari che adesso fanno sentire la propria voce all'interno del partito. Chiedono le primarie per i ruoli di coordinamento e, soprattutto, di costruire un partito diverso in vista della sfida Capitale, che ci sarà nel 2013 e in cui sono riposte le speranze di rinascita del Pd. Del resto il partito a Roma e nel Lazio ha subìto sconfitte brucianti. Prima quella di Francesco Rutelli contro Gianni Alemanno, ora quella di Emma Bonino (candidata che il Pd si è ritrovato per la mancanza di alternative) contro Renata Polverini. Il principale nodo irrisolto nel Pd romano è la mancanza di una guida, dunque di una direzione. Un tempo c'era il Modello Roma. C'erano il regista politico Goffredo Bettini e il sindaco Walter Veltroni. Criticati, certo, da un pezzo di partito, l'ala dalemiana, ma sempre capaci di indicare la strada vincente. È durata quindici anni, il tempo di trasformare la Roma burocratica e pigra dei Ministeri nella Capitale d'Italia anche per crescita economica, con tassi doppi rispetto alla media del Belpaese. Ma, dopo l'impegno nazionale di Veltroni e Bettini, candidato premier il primo e coordinatore nazionale del Pd il secondo, il Modello Roma si è esaurito. La scelta sbagliata, infine, di riproporre Rutelli al Campidoglio ha spazzato via anche le ultime velleità di quel potere romano, dando piuttosto il segnale di una lobby non in grado di rigenerarsi. Non è un caso che alle elezioni del 2008 soltanto il «nuovo» Zingaretti è riuscito a spuntarla. Ora al Modello Roma si è sostituito il Modello «Ognuno fa per sé». Ne sia prova che i quindici eletti in Consiglio regionale siano tutti ex assessori o ex consiglieri, professionisti della politica. Nel partito che non riesce più a parlare alle persone, che ha lasciato il territorio e che è risucchiato più dal politicismo che dai temi che pesano sui cittadini, le scelte sembrano orientate soltanto al mantenimento delle poltrone. La speranza è Nicola Zingaretti, ad oggi l'unico leader possibile. Bersaniano ma vicino a Bettini, il presidente della Provincia di Roma non ha voluto candidarsi alle Regionali e ha cominciato a scavare tra le rovine del Pd. Ma i popolari non ci stanno. Per loro l'ipotesi che Zingaretti prenda per mano il partito è praticabile soltanto se intorno a lui si costruirà un'area che punti sui valori cattolico-democratici. Questo significa cambi nella giunta provinciale e, soprattutto, nuovi incarichi di coordinamento. In caso contrario sarà battaglia: i popolari, infatti, chiederebbero le primarie per decidere sia il prossimo sfidante del sindaco Alemanno sia i segretari romano e laziale. L'unica poltrona che andrà a un ex Margherita è la vicepresidenza del Consiglio regionale: a Bruno Astorre, ex numero uno della Pisana e, soprattutto, il più votato della coalizione di centrosinistra. In ogni caso si prepara l'ennesimo scontro: la direzione regionale di giovedì non sarà una passeggiata. Alberto Di Majo

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