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Fini, l'assente

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Il presidente della Camera Gianfranco Fini

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Non è molto facile andare in piazza senza il tuo leader. E soprattutto quando il tuo leader ha detto che non ci sarebbe potuto andare perché ricopre una carica istituzionale e ha fatto capire la sua contrarietà. Comunque, c'erano. Loro, tutti i finiani. Flavia Perina arriva scortata da Benedetto Della Vedova. Lei ha una giacca di jeans d'annata, un pantaloni scuri, Adidas d'epoca ai piedi. Fa quasi impressione vedere Daniele Capezzone che arriva al corteo pretruccato da casa con il viso color terracotta ad uso telecamere per interviste da manifestazione. Lei, la direttrice del Secolo, tira dritto: «È una bella manifestazione, ci sono tutti, sono tutti ammalati di "manifestazionite"». E scherza: «Non sono d'accordo ma siccome manifesto da quando avevo quindici anni ci vado». Della Vedova la mette più sul politichese e parla della necessità di mettere mano al partito. Adolfo Urso arriva invece al corteo in vestito blu ministeriale e cravatta. Ma ci resta poco, sfila via. Carmelo Briguglio resta in disparte. Italo Bocchino, al solito, è il più furbo di tutti. Compare direttamente in piazza avvolto nel suo giubbotto di pelle delle frecce tricolori che fa tanto Fini (il simbolo delle frecce non è mancato mai sulla sua giacca nella campagna elettorale del '96, quella del massimo storico di An) e fa tanto destra. S'apre in un bel sorriso e confessa: «Sono qui a manifestare per l'amore», alludendo al titolo della manifestazione. Non va tanto bene ad Andrea Ronchi. Il ministro si fa tutto il corteo il mezzo alla gente, sempre in prima linea. Era filato tutto liscio e s'era pure divertito il titolare delle politiche Europee. Alla fine della manifestazione Ronchi è stato invece contestato da un gruppo di fedelissimi di Berlusconi. Stava imboccando a piedi via Magna Grecia quando alcune persone lo ha apostrofato più volte chiamandolo «lacchè di Fini». Già, e lui? Fini? È rimasto a casa, ha seguito la manifestazione dalle dirette televisive. Chi lo ha raggiunto telefonicamente racconta che lo ha trovato «soddisfatto». Soprattutto perché la manifestazione «darà un'ulteriore spinta alla Polverini», la candidata che Fini aveva a tutti i costi voluto. Per lei si era speso e si era battuto. E nella sua stanza, al piano nobile di Montecitorio, era stato siglato l'accordo che portò all'appoggio di Casini e dell'Udc alla candidata del centrodestra. Poi il distacco. Fini non ha mai commentato ufficialmente l'esclusione del Pdl dalla competizione elettorale, ha mostrato un certo disappunto sul decreto interpretativo limitandosi a spiegare che a suo giudizio era il «male minore». Sul corteo aveva detto che «il presidente della Camera non partecipa mai, in campagna elettorale, a manifestazioni organizzate dai partiti». Quel giorno, era il 10 marzo, i cronisti chiesero: «Presidente ma la condivide?» e l'ex leader di An tenne a precisare: «Non rispondo a questa domanda solo perché a farmela è una signora». Parole che avevano pesato. E che avevano allargato la distanza tra Fini e il suo mondo, Fini e la sua stessa candidata che ufficialmente ha incontrato solo una volta dopo il caso del Pdl escluso. Mentre invece è andato a Bologna, non per una manifestazione elettorale bensì culturale: i 125 anni del Resto del Carlino. Nel capoluogo felsineo, oltre che essere la città dove Fini è nato, è candidata Anna Maria Bernini, altra sua fedelissima. A Roma ancora nulla. Neanche culturalmente parlando.

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