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Una storia ridicola. Ma allo stesso tempo torbida e inquietante

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È un trappolone, ma forse bisognerebbe chiamarlo Carosello, lo storico programma di sketch pubblicitari della Rai che per vent'anni è andato in onda alle nove della sera. L'inchiesta della procura di Trani su Silvio Berlusconi in audio-video ha toccato vette inimmaginabili di creatività giudiziaria, tanto da far impallidire la fiction. Il presidente del Consiglio si ritrova indagato per aver parlato di politica con il direttore del Tg1, Augusto Minzolini, e fatto pesare il suo ruolo istituzionale con un consigliere dell'Autorità per le Comunicazioni. Guardacaso, i colloqui telefonici del capo del governo - ormai non fa notizia - sono stati captati dal grande orecchio bionico della giustizia italiana. Fate attenzione: sui leader della sinistra italiana per trovare lo straccio di un'intercettazione e verbale i cronisti devono sudare sette camicie (ne so qualcosa), mentre su Silvio il postino delle procure bussa cento volte e lo fa gratis. Misteri dell'italica giustizia-carosello, una giostra di cavalieri togati impegnati a infilzare sempre e solo il Cavaliere di Arcore. Uno spot pubblicitario a reti unificate che all'ora del telegiornale racconta le gesta di un Berlusconi impegnato in torbidi depistaggi televisivi con il direttore del Tg1 e un signor nessuno di un'autorità dello Stato incapace di far rispettare il contratto di servizio della Rai. Tutta questa storia è ridicola, torbida e inquietante. Quando il nostro Augusto Parboni mi ha mostrato la lista dei reati ipotizzati nei confronti del presidente del Consiglio ho capito che questo Paese è alla frutta. Riepilogo il curriculum criminale del premier: concussione, violenza o minaccia a corpo politico, amministrativo o giudiziario. Siamo all'assurdo giuridico e non ci vuole un principe del foro per capirlo. Sarebbe interessante ascoltare le lamentele dei presidenti del Consiglio che si sono succeduti nel corso della storia nei confronti dell'informazione, i richiami all'ordine, le pressioni, le raccomandazioni, i diktat. Questo scenario - spesso anche ruvido - fa parte del gioco democratico. Tutti i politici si lamentano e posso testimoniare che dire no e continuare a fare il proprio lavoro - e intrattenere civili e dialettiche relazioni - non è difficile. La maggioranza, di qualsiasi colore e segno, tende naturalmente a farsi dispotica. La minoranza adotta uguale sistema. Soprattutto in un sistema come quello della Rai, dove la governance societaria è determinata dal Parlamento e il governo - attraverso il Tesoro - ha un peso determinante. Finché non si chiude la stagione di una Rai così concepita, gli episodi che raccontiamo saranno cosa di tutti i giorni. Non vorrei sembrare un veltroniano e dunque dico subito che una Rai senza partiti è inimmaginabile, ma una Rai stabile, credibile, pubblica, dei cittadini, non un'araba fenice né una iattura. Nella Prima Repubblica in Viale Mazzini forse erano meno trasgressivi, ma il pluralismo era assicurato dalla lottizzazione. Quel sistema è saltato e oggi assistiamo all'anarchia dell'azienda. Oggi il primo guitto che si sveglia con il piede sbagliato si sente autorizzato a usare il mezzo pubblico per scopi privati. Il caso di Annozero è emblematico: il più abile conduttore televisivo - un maestro del suo genere - costruisce un prodotto che è una trappola seriale per la maggioranza. Lo fa grazie ai soldi del canone degli italiani tutti, anche di quelli che votano il centrodestra e questo non è un particolare. Usando i criteri della Prima Repubblica, un'azienda seria avrebbe bilanciato il pasticcio mandando in onda una trasmissione di segno contrario, con un giornalista capace quanto Santoro di affabulare, raccontare e mettere in piedi una macchina televisiva capace di far luce sulle contraddizioni di quello che viene individuato come l'opposto culturale. In questa Rai tutto ciò non avviene, la linea editoriale è anarchica e il cda è un collegio incapace di pensare alla tv come mezzo di comunicazione. Berlusconi si ritrova stritolato da un mostro catodico che non controlla perché le regole in Viale Mazzini da tempo sono carta straccia mentre la sua azienda obbedisce al mercato. Non gli resta che il telefono e cerca una politica soluzione audio a un imparziale tiro a segno video. Silvio alza la cornetta, parla e il Grande Fratello giudiziario lo ascolta, registra e incrimina con sprezzo delle istituzioni e del ridicolo. Benvenuti nel Carosello di George Orwell.

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