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Bersani antico, Di Pietro fa il tribuno:

Pierluigi Bersani in piazza

"Io, spina nel fianco del dittatorello"

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È più forte di lui. Ha appena finito di parlare, la piazza applaude, le bandiere sventolano e Pier Luigi Bersani non resiste. Chiude il pugno e lo alza orgoglioso verso il cielo. Un gesto antico, verrebbe da dire «rosso antico». E in effetti l'impressione, sentendo il segretario parlare a piazza del Popolo, è di essere tornati indietro di una trentina d'anni. Ai tempi del glorioso Pci. Pier Luigi, con il suo accento emiliano, ricorda più il Peppone di Giovannino Guareschi, che Barack Obama. Anche i temi trattati nel suo intervento rievocano tempi andati. Una sola parola d'ordine: lavoro, lavoro, lavoro. È vero, si tratta di una delle priorità del Paese, ma è come se mancasse una prospettiva. È come se il segretario non toccasse mai il cuore della gente. Non a caso, mentre il sognatore Nichi Vendola viene sommerso dagli applausi, Bersani deve accontentarsi di un'accoglienza più tiepida. La platea si scalda solo quando attacca Berlusconi («capo del governo, capopopolo, capopartito, capolista, caporedattore del telegiornale, fa tutto fuorché il suo mestiere»), quando parla delle sue «bolle di sapone», quando si chiede perché «Berlusconi detto Carnera non prende una carriola e porta via un po' di macerie?» La chiusura, poi, è un capolavoro di retorica: «Andiamo a vincere. Viva il lavoro! Viva la Costituzione! Viva l'Italia di domani!» In fondo anche Peppone finiva i suoi comizi di campagna elettorale con «viva la Repubblica!» e «viva l'Esercito!» Tutt'altro discorso per Antonio Di Pietro, il tribuno. Il leader dell'Idv, sciarpa viola al collo, mantiene i patti: non nomina e non attacca il Capo dello Stato Giorgio Napolitano. Ma per farlo deve leggere un testo scritto. Un testo che, giusto per non farsi mancare niente, critica il resto dell'opposizione. «Noi - esordisce - ci siamo anche questa volta. Anche perché non è la prima volta. C'eravamo a piazza Navona (il Pd disertò ndr). C'eravamo e ci siamo oggi che i fatti ci danno ragione». Poi il solito menù antiberlusconiano: piduista, corruttore matricolato, antidemocratico e neofascista, despota. Non manca un riferimento «al concorso di colpa grave del centrosinistra che in passato ha giocato con il fuoco e si è bruciato». Dario Franceschini, in prima fila ad ascoltare il leader Idv, è una sfinge, ma è chiaro che il suo pensiero, così come quello dei presenti in piazza e dietro il palco, vola veloce a Massimo D'Alema che decise di non mettere mano all'annosa vicenda del conflitto d'interessi. Nel frattempo la piazza si infiamma. E quindi Tonino va oltre e prendendo in mano la leadership dell'opposizione. «Noi dell'Italia dei valori e i partiti del centrosinistra - incalza - dobbiamo rispondere a questa piazza dando un'alternativa: qui prendo un impegno prioritario, certo che anche gli altri partiti del centrosinistra lo sottoscriveranno, dobbiamo tutti insieme assumere uno sforzo per battere democraticamente alle urne Berlusconi e per fare questo dobbiamo stare uniti». Bersani può solo annuire e alzare il suo pugno al cielo.  

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