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Il leader indiscusso è ancora Silvio

Il presidente del consiglio Silvio Berlusconi

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Silvio Berlusconi ha dimostrato ancora una volta, con la conferenza stampa indetta per commentare la vicenda del caos liste per le regionali, non solo di essere il leader indiscusso del Pdl ma anche di puntare, sempre di più, al rapporto diretto con il Paese. La ricostruzione puntuale degli avvenimenti da lui fatta non lascia dubbi al fatto che nei confronti del Pdl sia stata tentata, in modo vergognoso, una operazione, antidemocratica nella sostanza, per cercare di escluderlo in toto dalla competizione o metterlo in difficoltà. Una operazione volta a cercare di intaccare quel "consenso" che costituisce il patrimonio più cospicuo del suo leader e che i tanti tentativi e spesso maldestri tentativi di delegittimazione non sono riusciti a scalfire più di tanto. Che Berlusconi abbia denunciato tutto ciò, ostentando ottimismo e senza mostrare troppa preoccupazione, è un bene. Come pure è un bene che non abbia fatto riferimenti alla situazione interna del Pdl rinviando, evidentemente, al dopo elezioni la possibilità di una ormai necessaria riflessione sulla forma-partito e sugli equilibri interni del Pdl. Ai fini di un'analisi politica, è rilevante la determinazione di Berlusconi di scendere personalmente in campo per sostenere, ovunque, i candidati del centro-destra con una manifestazione che toccherà temi cari agli italiani come l'attuazione del piano casa e la lotta all'oppressione della burocrazia. Temi che costituiscono, evidentemente, nella visione del leader del Pdl, un raccordo necessario tra la politica nazionale e le politiche locali. Berlusconi, dichiarando la sua disponibilità a scendere di persona nella lotta politica attuale, vuole impostare - e giustamente - questo scampolo di campagna elettorale come un confronto fra due diverse concezioni - l'una illiberale e antidemocratica e l'altra liberal-democratica e riformista - della politica e della lotta politica. E, al tempo stesso, come un vero e proprio referendum sulla attività fin qui svolta dal governo. Ciò significa, in parole povere, che dall'ampiezza o meno del successo, in queste elezioni, si giocherà la possibilità, per il governo, nella seconda parte della legislatura di poter operare in una situazione nella quale non esista quella distonia politica fra esso e la Conferenza delle regioni, che è causa troppo spesso di gravi intralci all'attuazione dei programmi governativi. L'impegno di Berlusconi, un Berlusconi ricaricato come sempre accade nei momenti di difficoltà, ha per fine, in primo luogo, una forte vittoria elettorale del centro-destra che egli cercherà di ottenere contrastando le pulsioni astensionistiche sulle quali puntano i suoi avversari. Ma esso ha anche un altro significato, che non riguarda la politica nazionale, ma interessa il futuro del Pdl. Con la discesa personale in campo, e con il suo appello diretto al corpo elettorale, Berlusconi ribadisce, senza equivoci, che egli è, e vuole rimanere, il leader del Pdl: un partito che egli considera diverso dai movimenti politici organizzati della prima repubblica funzionali a un sistema politico, sostanzialmente oligarchico, partitocratrico e correntocratico. Il silenzio di Berlusconi, in sede di conferenza stampa, sulle "anime" del Pdl e sui contrasti, veri o presunti, con Fini, è indicativo. Questo silenzio parla: lascia intendere che, a urne chiuse, il Pdl dovrà affrontare il problema concreto della definizione, o ridefinizione, della sua natura, dei suoi obiettivi e della sua organizzazione interna. In una parola delle sue caratteristiche di partito "nuovo" e "diverso" rispetto agli altri: un partito liberale e riformista capace di parlare alla gente comune e di porsi come cinghia di trasmissione delle istanze politiche.  

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