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Fini media: "Niente strappi Si rispettino le regole"

Gianfranco Fini

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Niente strappi, rispetto delle regole. Niente forzature e rispetto delle istituzioni. Gianfranco Fini lo ha ripetuto all'infinito in questi giorni ai suoi interlocutori. Quali? Tutti, il presidente della Camera ha praticamente parlato con tutti. Certo, lui lo negherà. Dirà solo che ha seguito attivamente ma nulla di più. Nella pratica non è così perché Fini ha seguito passo dopo passo il varo del decreto preoccupato soprattutto che non si creassero rotture a livello istituzionale. E il messaggio che arrivava dal Quirinale era che non si potessero cambiare le regole per accontentare una parte politica. Non era possibile introdurre nuove regole mentre la corsa verso il voto è già cominciata. D'altro canto Fini ha fatto capire che eventuali forzature non sarebbero state comprese dall'elettorato e forse neppure da quello del centrodestra. Quindi ruolo attivo del presidente della Camera tra Palazzo Chigi e, soprattutto, con il Quirinale. Che ci sia sintonia tra Montecitorio e Colle non è una novità clamorosa. Ma chi ne avesse ancora dubbi potrebbe spazzarli via andando a vedere dove si trovava ieri mattina Gianfranco Fini. A Napoli, a un convegno organizzato dalla sua fondazione Farefuturo e da Mezzogiorno Europa, il centro studi che volle Giorgio Napolitano. E qui, nella sede degli industriali, il co-fondatore del Pdl ha usato parole chiare: «Non si può dire che la legalità sia una precondizione e poi ridurla alla brevità dei processi, ed alla presenza della polizia e della magistratura sul territorio. La legalità è una serie di politiche che presuppongono inevitabilmente la qualità della classe dirigente». E ha aggiunto: «C'è l'assoluta necessità che le candidature siano, come si diceva un tempo, al di sopra di ogni sospetto come la moglie di Cesare, ed invece si dà vita ad un dibattito sconclusionato, rinfacciandosi tra uno schieramento e l'altro il problema». D'altro canto le due fondazioni avevano già scelto una linea chiara in un documento comune che prevedeva la spinta per un ricambio generazionale e più complessivamente di collaborare per varare una nuova classe dirigente. Nel paper comune si esprimevano anche pesanti giudizi sui dirigenti dell'ultimo quindicennio. Infine Fini ha affrontato più da vicino una delle questioni che sta più a cuore al Colle: «C'è un mantra - sono state le sue parole - quello del Mezzogiorno come questione nazionale ma attenzione, dire che il Mezzogiorno deve diventare questione nazionale, diventa un alibi per le classi politiche locali che hanno l'onore e l'onere di dimostrare che il Mezzogiorno può farcela. Basta con gli alibi occorre una piena consapevolezza delle classi politiche meridionali, ovviamente nell'ambito di politiche nazionali».

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