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Silvio tenta la carta di un dl dell'Interno

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Parlamento

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«Abbassare i toni». Ora serve essere compatti e arrivare dritti dritti all'obiettivo. Dopo quattro giorni di caos, di accuse reciproche e di ricorsi giudiziari, Silvio Berlusconi richiama il partito all'unità, convinto più che mai che, in una situazione come questa, con due regioni a rischio di esclusione dalle prossime elezioni, occorra solo «una soluzione politica», mantenendo però le bocce ferme. E soprattutto avendo mandato pieno dal partito per gestire l'intera situazione: dai rapporti con l'opposizione e il Quirinale, alla decisione finale da prendere. Berlusconi sa che l'unico a poter sciogliere il pasticcio delle liste è il Capo dello Stato. Motivo per cui, per tutto il giorno il premier ha preparato il terreno, ha sondato gli animi, ha studiato le carte. Non servono colpi di testa, ha ripetuto il Cavaliere, né azioni di forza. Per risolvere le questioni Lazio e Lombardia serve un accordo che coinvolga le massime autorità. Non è un caso se Berlusconi e Fini hanno rinunciato a presenziare alla riunione degli eletti del Pdl nel Lazio (programmata già dal giorno prima). Il Cavaliere ha anche smentito di voler partecipare alla manifestazioni del suo partito in piazza Farnese (appuntamento invece dato per certo). Il tutto per abbassare i toni e cercare una soluzione istituzionale alla crisi che ha messo in ginocchio il centrodestra. Per il Cavaliere prima una riunione con lo stato maggiore del Pdl, poi un incontro con i suoi più stretti collaboratori per mettere a punto le carte da portare la Quirinale. Dopo svariate consultazioni, in tasca il Cavaliere ha portato tre ipotesi: la prima, quella di un decreto legge che posticipi la scadenza dei termini per la presentazione delle liste elettorali, senza spostare la data del voto. La seconda, quella di un decreto "interpretativo" che consenta di allentare le maglie delle norme sulla presentazione delle liste o, come estrema ratio, quella di un decreto legge che sposti direttamente la consultazione elettorale di 15 giorni/un mese, almeno per le due regioni interessate. La prima opzione era quella preferita da Berlusconi, anche perché ci sono dei precedenti (quello del '95, quando Oscar Luigi Scalfaro, allora capo dello Stato, firmò un dl che spostò la scadenza dei termini per la presentazione delle liste dalle ore 12 del 29 marzo alle 20 del 31 marzo). Il centrodestra ci sperava, tanto è vero che un Consiglio dei ministri straordinario era stato convocato per le 22 di ieri sera, pronti a varare il decreto. Ed invece nulla, la riunione dell'Esecutivo è stata annullata subito dopo l'incontro tra il premier e Napolitano. Nel caso della seconda ipotesi, quella del decreto interpretativo, centrato a cambiare alcune norme (come quelle che riguardano ad esempio la questione della tardività o dei bolli da usare), il ricorso al Tar sarebbe comunque stato presentato: «Essendo un decreto che va ad agire sulle norme - spiega uno dei tecnici di via dell'Umiltà - noi comunque il ricorso dobbiamo farlo. Poi il Tar applicherà le novità previste nel provvedimento». Chi lo ha incontrato in queste ore, racconta di un premier carico ma sicuramente «non contento» per tutto quello che è successo. Ha lui le difficoltà maggiori per sciogliere la matassa, facendo i conti con un «danno d'immagine» per tutto il Popolo della libertà. Ed è quello che ha detto a più di qualcuno tra i suoi fedelissimi: «Ora bisogna pensare solo a vincere le elezioni». Quel che è certo è che il centrodestra non sembra intenzionato a lasciare ai giudici del Tar la decisione su chi correrà in due regioni fondamentali per l'esito del voto di fine marzo. Tant'è che il presidente della regione Lombardia Roberto Formigoni ha annunciato che verranno presentate denunce per irregolarità che sarebbero state commesse dall'ufficio centrale regionale che ha accolto il ricorso dei radicali e contro chi avrebbe potuto manomettere le liste con le firme. Dopo un incontro con i vertici della Lega (dove anche Umberto Bossi ha auspicato una «soluzione politica»), Berlusconi davanti a ministri, coordinatori nazionali e regionali del partito, ha difeso gli esponenti locali e si è scagliato contro l'eccessivo fiscalismo di alcuni magistrati che hanno avuto un atteggiamento troppo rigido. Il Pdl, sostiene il Cavaliere, è «vittima di un sopruso» anche perchè, ha aggiunto con una battuta amara, è curioso che noi mandiamo i militari italiani per garantire il voto in Afghanistan e poi non ci venga garantito il diritto di voto in Italia. «Abbiamo subito un sopruso e ora serve unità». Faremo di tutto per trovare una soluzione e «sanare il vulnus democratico» che per «un eccesso di formalismi» impedirebbe a 15 milioni di italiani di votare liberamente nel Lazio e in Lombardia. Il fatto che il consiglio dei ministri sia stato sconvocato a tarda sera, lascia intendere che il faccia a faccia tra il premier e Napolitano non sia andato poi così bene. A questo punto spunta l'ipotesi di un decreto del ministero dell'Interno, come ultima possibile ipotesi, motivo per cui i ministri sono rimasti a Palazzo Chigi fino a tarda sera. E il rebus continua.

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