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Berlusconi scuote il partito Schiera i suoi e avverte Fini

Silvio Berlusconi

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Se non è nuovo predellino, poco ci manca. Per lo meno l'aria è quella. Stavolta la location non è una piazza, ma una sala nel cuore della Capitale dove nelle prime file ci sono tutti i vertici del partito. Berlusconi lancia un «nuovo movimento», un «esercito del bene» formato da «promotori della libertà» che risponderanno direttamente ed esclusivamente a lui, coordinati da Michela Vittoria Brambilla e con una struttura autonoma, anche se in collegamento con il Pdl. Una novità nel panorama del centrodestra che sa tanto di reazione, se non di risposta, a quei «giochi di potere» denunciati dallo stesso Berlusconi qualche giorno fa. Forse non una nuova corrente di maggioranza, ma certamente un gruppo di pressione che espropria i potentati interni (Berlusconi auspica che le decisioni chiave del Pdl finiscano in mano agli organi istituzionali e all'ufficio di presidenza) e delinea una nuova fase. Sebbene tutti si affannino a negare l'esistenza di contrasti interni e l'ipotesi di un coordinatore unico all'orizzonte (al posto dei tre attuali) l'impressione è che il premier abbia deciso un cambio di passo per sostenere i suoi nella campagna elettorale (sarà al fianco personalmente di tutti i candidati governatori) e per tentare il necessario ricompattamento del Pdl, sfibrato dalle lotte intestine. Ancora una volta il premier si avvale della Brambilla, per dare una scossa al partito. Si rimette al centro della scena per cercare di rianimare una tornata elettorale che rischia di essere travolta dall'astensionismo, ma ancor di più per dare quella scossa al partito, di cui tanto si è parlato negli ultimi giorni. È vero, Berlusconi difende ancora una volta pubblicamente il triumvirato che gestisce il partito e assicura che le voci di contrasto interne sono «pura fantasia», che non ci sono cambi in vista né nell'immediato né nel futuro «avanzato». Eppure quella che lancia è una struttura che ambisce a essere strutturata sul territorio con tanto di coordinatori ma che soprattutto, spiega Berlusconi, farà riferimento direttamente a lui. Compito di questi promotori, che al Cavaliere piace chiamare anche paladini, sarà quello di «organizzare i gazebo e il tesseramento», di comunicare agli altri in qualunque luogo, i grandi risultati ottenuti in questi anni di governo e di «smascherare le bugie della sinistra e dei suoi giornali». Torna il leit motiv del radicamento territoriale che il Cavaliere tentò di dare a Forza Italia con i Circoli della Libertà nel 2006, spiazzando gli azzurri della prima ora proprio con l'impiego della Brambilla, che oggi è incaricata di tenere i raccordi con il Pdl. Ma nel partito, fino a ieri mattina, nessuno sapeva nulla della decisione di schierare questi «paladini della libertà», assunta - pare a fronte di sondaggi non buoni - dal premier venerdì scorso. «Berlusconi usa la Brambilla, ha sempre fatto così quando vuole mandare messaggi e scuotere il partito», ragiona un ex azzurro in Transatlantico. Per alcuni si tratta solo di un modo per richiamare l'attenzione degli elettori in vista delle elezioni, per altri di un colpo inferto ai coordinatori che non hanno saputo strutturare il partito sul territorio, per altri ancora di un modo di "depotenziare" i movimenti, dei quali la Brambilla è responsabile, ed inquadrarli dentro il Pdl. Il premier ancora una volta punta il dito contro l'uso e la pubblicazione delle intercettazioni che definisce «un attacco alla libertà», una «barbarie», insomma roba da «stato di polizia». «Lo vediamo in questi giorni» è l'affondo, «tutte le cose che diciamo al telefono riservatamente con un'altra persona appaiono sui giornali e portano delle secchiate di fango» che alla fine tali rimarranno perché «non ci sono reati che sono emersi con certezza». Nota dolente, il partito, il principale destinatario del messaggio del Cavaliere. Un partito, ricorda Berlusconi nella sua lunga premessa, che deve essere «democratico», in cui le decisioni sono prese a maggioranza, con la minoranza obbligata ad «adeguarsi». Quello lanciato ieri è un appello diretto alla base, un invito a farsi sentire, ad organizzarsi, a contribuire al tesseramento, alle manifestazioni e alle campagne elettorali. Solo così, sottolinea, «il Pdl diventerà un grande, grande, grande partito capace di interpretare i sogni della nostra gente». Una vera e propria chiamata alle armi, che il Cavaliere ha voluto fare a tutti i costi. Il richiamo però, spiegano dalla maggioranza, non è da intendersi solo nei confronti del partito. Ma anche e forse soprattutto verso Gianfranco Fini, con il quale i rapporti continuano ad essere tesi. Anche ieri il presidente della Camera ha preso le distanze dal premier sul tema dell'immigrazione, giudicando «fuorviante» il parlarne in chiave elettorale. Secondo Berlusconi, la sinistra vuole l'invasione degli stranieri per rovesciare gli equilibri politici, e Fini ribatte che il problema dell'integrazione è molto più complesso e riguarda l'Europa nel suo insieme. Berlusconi e Fini appaiono divisi nel modo di affrontare il test di medio termine delle regionali e soprattutto il dopo-voto. Il presidente del Consiglio, ancorato al suo «governo del fare», non teme il manicheismo, anzi sembra apprezzarne la portata mediatica: i suoi sono chiamati ad incarnare una sorta di «esercito del bene» contrapposto a quello del «male» rappresentato dalla sinistra. È una filosofia che taglia i ponti di quel dialogo per cui, invece, lavora Fini in stretto raccordo con il Quirinale. Ed è solo l'inizio.

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