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Partito nuovo, basta oligarchi

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Stiamo attraversando un momento particolarmente delicato per il futuro del sistema politico italiano. Non siamo di fronte a una seconda Tangentopoli in grado di travolgere i fragili sostegni sui quali si regge quel sistema politico. Gli scandali di questi giorni - le due inchieste che occupano le prime pagine dei giornali - sono, infatti, profondamente diversi tra loro e non assimilabili a una stessa tipologia: l'uno è basato soltanto su indizi abbastanza labili, inconsistenti e probabilmente viziati da loschi interessi di bassa lotta politica, mentre l'altro, ben più grave, rientra nella categoria delle truffe colossali e del malaffare istituzionalizzato. Siamo, però, entrati in una fase nella quale il disgusto per quanto accade a ogni livello sta investendo l'essenza stessa della politica, sta gettando le premesse per una nuova, gigantesca, irrefrenabile ondata di antipolitica. E di questo bisogna tener conto. Lasciamo da parte le ipocrisie di tipo moralistico. Un tasso di corruzione è fisiologico in tutti i sistemi politici al punto che un grande storico inglese, Edward Gibbon, arrivò a scrivere che «la corruzione è il simbolo più infallibile della libertà costituzionale». Ma il problema o, meglio, i problemi sono altri: in primo luogo, quello di circoscrivere e isolare le cellule corrotte per evitare che esse si moltiplichino e diventino un cancro incurabile destinato a uccidere il sistema; in secondo luogo, quello di restituire un senso alla politica recuperandone valori, autonomia, dignità. È necessario, per far questo, non indulgere alla tentazione di offrire "coperture" ai malfattori cedendo alle pressioni interessate di una vera e propria casta trasformatasi in oligarchia a seguito della degenerazione di una democrazia inquinata, come aveva osservato un grande scrittore liberale quale era Panfilo Gentile, dalle contaminazioni fra malavita e professionismo politico. È necessario, ancora, procedere a un rinnovamento dei partiti che sono, o dovrebbero essere, il terreno di coltura di una buona e sana politica.   Quando scese in campo in un altro momento, particolarmente pericoloso per il nostro paese, Silvio Berlusconi seppe interpretare il bisogno di pulizia morale che serpeggiava ovunque, seppe prendere per le corna il toro dell'antipolitica, domarlo, dominarlo e trasformarlo in politica positiva e in voglia di fare e partecipare al rinnovamento del sistema. E tutto ciò malgrado le resistenze dei poteri forti, malgrado le persecuzioni della parte più politicizzata della magistratura, malgrado i veleni diffusi a livello mediatico in ogni modo possibile. Quando poi, or è poco più di un anno, egli decise la nascita del Pdl, volle fare un salto di qualità: non già la creazione di un "nuovo partito" frutto di aggregazione o fusione di forze politiche preesistenti, ma la fondazione di un "partito nuovo" nel quale potessero ritrovarsi, individualmente, cattolici, liberali e riformisti: un partito moderno e aperto, lontano dalle vecchie logiche e dai vecchi equilibri di potere, funzionale a un sistema politico semplificato per volontà stessa del corpo elettorale. Il Pdl ha rappresentato, sotto questo profilo, davvero una novità sostanziale nel panorama della vita politica nazionale. E la rappresenta tuttora, malgrado i problemi costituiti dalla presenza al suo interno di gruppi di potere o di interesse di tipo correntizio e malgrado le palate di fango che gli vengono scaricate addosso da una stampa cinica e incosciente preoccupata non delle sorti del Paese ma degli interessi di persone o gruppi di riferimento. Tuttavia è giunto il momento di un colpo d'ala che riporti il "partito nuovo" al suo spirito originario. Berlusconi, che proprio quel partito ha voluto, ne è consapevole e ne ha ripreso la guida. Dietro il lancio dei "promotori della libertà" che a lui in prima persona dovranno fare riferimento, c'è la convinzione della necessità di dover mettere ordine nelle file del partito, di dover dare un taglio alle lotte di potere interno e di far capire che il partito, in quanto tale, è da concepirsi come cinghia di trasmissione fra le istanze della popolazione e la leadership e non già come una palestra di addestramento per la conquista di posizioni di potere politico o di rendite di posizione. Potrebbe sembrare, la mossa di Berlusconi, una trovata di tipo propagandistico o una banalità. Ma non lo è perché si fonda su un patrimonio reale: il rapporto privilegiato fra Berlusconi stesso e i cittadini. Questi sanno ben sceverare il grano dal loglio e sanno ben distinguere tra persecuzioni giudiziarie e frutti perversi della corruzione. Proprio per conservare questo patrimonio, che è del Pdl ma anche del paese, Berlusconi dovrà impegnarsi a fondo, in prima persona, nella campagna elettorale e nel rinnovamento del "partito nuovo".  

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