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L'ex An ripudiato da Fini

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Nicola Di Girolamo

Italiani all'estero, legge da rifare

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Un anno e otto mesi dopo, il senatore Nicola Di Girolamo, eletto nel Pdl nella circoscrizione estero, ricomincia da dove aveva iniziato: da una richiesta di arresto. Ma stavolta ben più grave di quella dalla quale lo aveva salvato la Giunta per le elezioni e per le immunità parlamentari di palazzo Madama a settembre del 2008. Allora i giudici gli avevano contestato l'accusa di non risiedere all'estero al momento della accettazione della candidatura, stavolta invece i magistrati sono andati molto più in là e, negli atti trasferiti al Senato, lo indicano come una delle menti di un vasto riciclaggio internazionale di soldi, in collegamento con le cosche calabresi. Operazione che ha portato all'arresto di 56 persone.  Lui, cinquantenne imprenditore-avvocato-commercialista, con tre studi a Bruxelles, Roma e Lugano e cento dipendenti, ieri non si è presentato in aula a Palazzo Madama, dove pure era prevista la sua presenza. Ha preferito affidare la sua difesa dall'accusa di legami con la 'ndrangheta a poche parole pronunciate al telefono: «Stanno cercando di mettermi sulla croce. È roba da fantascienza. Mi sento paracadutato in territorio di guerra. Mi sento nel frullatore». «Sono stato in Calabria – ha proseguito – durante la campagna elettorale, a Pasqua, una sola volta, invitato dall'avvocato Colosimo per un incontro elettorale. Se si vanno a consultare gli elenchi dei voti da me raccolti stilati dal ministero dell'Interno ci si accorgerebbe che io a Stoccarda, ho preso gli stessi voti che sono stati da me raccolti in altre città europee. Mi accusano anche di contatti con una realtà che ignoro completamente come quella della telefonia. Io, sì e no, so accendere il cellulare. Nulla di più. Mi sembra una situazione assurda, incredibile, al limite della realtà. Ma risponderò punto per punto». Difficile ricostruire come Nicola Di Girolamo sia arrivato nella liste del Pdl. Si sa solo che, eletto nella circoscrizione estero con più di 25 mila voti, ha avuto un «gancio» per arrivare in Senato dentro Alleanza Nazionale. Ma Gianfranco Fini e i suoi uomini ben presto hanno preso le distanze da lui. È successo proprio nella Giunta per le elezioni e per le immunità parlamentari che, a settembre del 2008, doveva decidere se concedere o meno l'autorizzazione al suo arresto. In quel caso, dopo due sedute, e dopo avere esaminato la documentazione e ascoltato gli avvocati difensori, i membri decisero a maggioranza di negare il permesso. Ma il relatore, Andrea Augello, votò contro. Un segnale, forse, visto con gli occhi di quello che è successo ieri. «Scaricato» dagli ex di Alleanza Nazionale, Nicola Di Girolamo si è avvicinato ai deputati siciliani del Pdl. Ma soprattutto a Sergio De Gregorio e alla sua Fondazione Italiani del Mondo, di cui fa parte e con la quale ha partecipato a diversi convegni. E di convegni Di Girolamo ne ha organizzati anche come presidente dell'«Associazione Parlamentare di amicizia Italia-Turchia». L'ultimo l'11 febbraio scorso a palazzo Patrizi Montoro a Roma, al quale ha partecipato anche il senatore Franco Marini. Ora per lui si apre di nuovo il «processo» nella Giunta per le immunità parlamentari. E il relatore sarà, anche stavolta, il senatore del Pdl Andrea Augello. Al quale stamani sarà consegnata tutta la documentazione dei magistrati che chiedono l'arresto di Di Girolamo. Poi, probabilmente entro la settimana, si fisserà la prima riunione. L'accusa, stavolta, non sarà «semplicemente» quella di essersi fatto eleggere all'estero senza avere in realtà mai risieduto fuori dall'Italia. Il reato ipotizzato nell'inchiesta del Ros dei carabinieri è grave: associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio transnazionale. Di Girolamo, secondo gli investigatori, sarebbe stato inserito a pieno titolo in una «rete» che tra il 2003 e il 2006 avrebbe riciclato in Europa oltre 2 miliardi di euro. Il suo ruolo, sempre secondo l'accusa, sarebbe proprio quello di interfaccia per il riciclaggio tra diversi Paesi europei. Inoltre il senatore del Pdl è anche accusato di aver violato la normativa sulle elezioni con una specifica aggravante mafiosa: esponenti delle 'ndrine in Germania avrebbero «rastrellato» tra gli immigrati di Stoccarda le schede in bianco per poi siglarle con l'indicazione di voto a favore dell'esponente del Pdl.

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