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Fare chiarezza subito e senza false rivoluzioni giudiziarie

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Piange il telefono. E le migliaia di risparmiatori che hanno investito i loro capitali in titoli azionari delle aziende di telecomunicazione. Ma piange soprattutto la classe dirigente di un Paese che diciotto anni dopo Mani Pulite sembra avviarsi a vivere con rassegnazione un'altra stagione della rivoluzione giudiziaria permanente. Dalla mazzetta di Mario Chiesa del 1992 ai conti telefonici taroccati del 2010, passando per una miriade di indagini e rivelazioni che non sembrano aver scosso il sistema della corruzione. Ieri si rubava per il partito, oggi si arraffa per arricchirsi e per brama di potere. Siamo garantisti, non ci piace la giustizia-spettacolo, ma bisogna avere il salame sugli occhi per non vedere che nel Paese non si è mai rimarginata la ferita purulenta della questione morale. Non siamo di fronte a una nuova Tangentopoli: è diverso il sistema politico, non paragonabile la forza di quei partiti del passato rispetto alla inconsistenza di quelli di oggi, impossibile fare parallelismi tra i leader di ieri e quelli che calcano la scena attualmente. Per le condanne dovremo aspettare processi e prove. Ma il quadro è devastante. Per tutti, giustizia compresa. Partiamo da quest'ultimo punto. Se le accuse saranno provate, i magistrati avranno scoperchiato un sistema di fatturazione ed evasione fiscale che danneggiava le casse dello Stato e dunque noi cittadini. E gliene saremo grati. Ma se il quadro probatorio fosse fragile, l'interpretazione delle norme ambigua, il percorso della giustizia lento e accidentato e alla fine della storia tutto si risolvesse in un can can con risata finale, allora per la magistratura si aprirebbe l'ennesimo abisso di inconcludenza. E sarebbe un dramma nel dramma. Telecom e Fastweb non sono imprese qualunque, a loro modo, pur con le differenze di dimensione e mercati, sono società che sventolano la bandiera italiana. Sono innovazione, ricerca, tecnologia, posti di lavoro. Futuro. Ci vengono i brividi nel pensare che tutto questo possa essere messo a repentaglio. La richiesta di commissariamento di Fastweb e Telecom Sparkle da parte della procura è una mossa fortissima. Un provvedimento drammatico che si avanza solo in presenza di situazioni gravissime. Quando un tribunale mette le mani sulla gestione di un'azienda la musica cambia e la velocità di reazione dei mercati è impressionante. Fastweb è un'azienda nata nel 1999, in poco più di un decennio è diventato l'operatore con la prima rete di telecomunicazioni di nuova generazione al mondo, ha una rete in fibra ottica che supera i 27mila chilometri, è controllata da Swisscom Italia e il resto del capitale (il 17,92%) è sul mercato. È una creatura di Silvio Scaglia, considerato nel settore un genio delle telecomunicazioni. Telecom Sparkle invece è una società direttamente controllata da Telecom che ha la gestione di una rete di cavi planetaria: 375mila chilometri. I magistrati la definiscono una cassa operativa del gruppo. Il capitale di Telecom Italia è partecipato da investitori istituzionali italiani ed esteri, da Findim e Telco. Quest'ultima è a sua volta partecipata da Intesa, Mediobanca, Sintonia e Telefonica. E così attraverso il doppino del telefono arriviamo al cuore pulsante del capitalismo. I magistrati in un colpo solo sono entrati nel sancta santorum della finanza italiana e nessuno può immaginare con quali risultati finali usciranno da questa incursione. Leggere l'ordinanza che su Il Tempo i nostri Augusto Parboni e Fabio Di Chio raccontano nel dettaglio, è un'avventura spericolata. Si entra in un mondo popolato di gnomi ma senza fate. Gli gnomi sono quelli della finanza, le fate hanno le sembianze di streghe della criminalità organizzata. Se fosse vero quello che abbiamo letto, siamo in presenza di una cupola affaristica che non ha confini e che usa tutti i mezzi per imporre le sue regole del gioco. Se fosse vero. Si tratta di un'inchiesta che tocca tutti i nervi del sistema Italia. E sarà bene che si conduca con estremo rigore, determinazione e serietà. È in gioco un pezzo del Paese. E in questo quadro, l'arresto di un senatore della Repubblica sembra un fatto quasi marginale, se non fosse che questo rappresentante delle istituzioni, tal Nicola Di Girolamo, secondo l'accusa aveva un ruolo nella vicenda ed era arrivato a Palazzo Madama, con i voti della 'ndrangheta presi in Germania. Sembra la sceneggiatura di un film di spionaggio e per il momento manca solo il cadavere. La politica a questo punto ha un solo interesse: chiedere l'accertamento della verità, senza manipolazioni e false rivoluzioni.  

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