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Teniamo fuori il Quirinale da questa storia

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Ilsuo è potere neutro, magistero di garanzia e di persuasione, collocato ben più in alto del confronto politico fra maggioranza e opposizione. Hanno torto Eugenio Scalfari e quanti con lui lo evocano come suggeritore di questo o quel provvedimento. Neanche fosse un co-legislatore: parlamentare di opposizione che sia voce della Costituzione, nei sogni disordinati di «democratici» all'inseguimento di Scalfari (magari perché nostalgici di Scalfaro). Le stesse perplessità sulla nascita per legge di una società per azioni con compiti di supporto esecutivo alla Presidenza del Consiglio devono trovare alle Camere, assai più che fra Quirinale e Palazzo Chigi, il proprio sentiero di discussione. Anche perché non è solo questione di giusti confini fra diritto pubblico e diritto privato. Da anni ormai gli ambiti della protezione civile si erano dilatati. Non tanto per imperialismo del dipartimento di Bertolaso. Quanto per la collaudata impotenza delle pubbliche amministrazioni ad intervenire in via ordinaria sul proprio territorio. Di qui quella ricorrente abitudine di cercare ovunque tavoli paritari con gli enti locali, cabine di regia, società partecipate, con cui prima viene anticipata e poi affiancata la fatidica dichiarazione di «grande evento» con annessa possibilità di ricorrere ad «ordinanza di protezione civile». Del resto, giorni fa un ministro degli interni già due volte presidente del consiglio ricordava di averne dovuto far uso in occasioni niente affatto grandi o straordinarie. Ogni comparazione fra quanto verificatosi nei governi presieduti da Prodi o da Berlusconi avrà comunque modo di esercitarsi. Ma la storia è ben altra. C'è al suo fondo una trama di leggi Bassanini (tese alla dissoluzione degli uffici periferici dello Stato), di riforme del titolo V della Costituzione, di baldanzosi eppur velleitari sindaci e presidenti eletti direttamente dal popolo, di esecutivi sempre ricattabili da lobbismi e moralismi di massa. Un esempio significativo: ai lavori pubblici subito dopo l'unità nazionale fu ministro Silvio Spaventa, mentre per ben due volte negli ultimi anni lo è stato Antonio Di Pietro. Mai arretramento dello Stato a favore della «società civile» avrebbe potuto essere più preoccupante. Scalfari, che pure di sera andava a Via Veneto con Mario Pannunzio, non se ne è mai accorto. Nel 1993 non si accorse neppure che durante un'orgia referendaria che lo aveva entusiasmato era scomparso il ministero dell'agricoltura, quello dal quale Cavour aveva cominciato a ragionare d'Italia. A che titolo vorrebbe oggi le dimissioni di Bertolaso?

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