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Il Pd perde un pezzo storico

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Matteo Costantini

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Via dei Giubbonari 38. È la storica sede del Pci prima, dei Ds poi e del Pd oggi. È il cuore di Campo de' Fiori, cuore di Roma e di un partito e di una politica che non c'è più. A dimostrarlo la vecchia targa con falce e martello, il portone chiuso. Matteo Costantini, giovane esponente dell'ex Margherita, era riuscito a espugnare la corrente dalemiana alla guida della sezione più famosa del centrosinistra, non solo capitolino. Ieri l'addio al Pd e l'adesione all'Udc. Un annuncio che fa notizia. «Le motivazioni sono personali e politiche», sostiene Costantini. Personali in che senso? «Sono un cattolico e la mia storia viene da quel mondo, dalle Acli, dalla Margherita. Ho guardato al Pd come una bella sintesi tra cattolici e laici e dunque alla nascita di un grande partito democratico». Un sogno infranto da cosa? «Bè la candidatura di Emma Bonino, ratificata dalla dirigenza, è l'emblema di un progetto fallito, al quale fanno da cornice l'abbraccio di Bersani con Di Pietro e le dichiarazioni di Bettini secondo il quale il Pd è quello di Vendola e della Bonino. Io sono uscito dal Pd ma non sono il primo e certamente non sarò l'ultimo». Perché Casini e non Rutelli? «Casini ha preso la strada giusta, non piegandosi al sistema bipolare e ha fatto in modo che la prospettiva della nascita di un terzo polo moderato si trasformasse in realtà. Sono convinto poi che Rutelli sarà parte del progetto della Costituente di Centro che vede nel Lazio e a Roma il suo vero laboratorio». Sì, ma lei guidava la sezione di via dei Giubbonari...  «Via dei Giubbonari è stato l'esperimento di un partito che non è nato. Sotto la mia guida siamo passati da 300 a oltre 600 iscritti, e molti anche di altre città italiane e abbiamo provato a fare una politica diversa. Eppure, quando ad esempio abbiamo affisso manifesti di solidarietà a Berlusconi dopo l'aggressione di Milano siamo stati attaccati e abbiamo capito che il Pd che sognavamo non c'era più».

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