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Tenta la strage tra i pompieri

Gabriele Mancini, l'uomo che ha tentato la strage in una caserma dei vigili del fuoco a Roma in zona Capannelle

"Una furia, voleva ucciderci"

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Cinque feriti dalla lama e quattro investiti. Tre sono gravi ma non in pericolo di vita. La figura sconvolta è quella di Gabriele Mancini, romano, 41 anni, da quattro nel Corpo dei vigili del fuoco, a maggio sottoposto dai medici del Corpo a test psichiatrico in una struttura clinica convenzionata e dichiarato idoneo al lavoro. C'era sangue sugli arredi, in terra e sulle scale. Gente che gridava e si chiudeva in ufficio. Poteva essere una strage, l'epilogo di un giorno di ordinaria follia. È terminato con l'arresto dell'ingegnere per tentato omicidio, dopo essersi arreso all'alt dei carabinieri armi in pugno, giunti in un lampo alla Scuola. La mattina inizia col fotogramma tranquillo come lo è l'attimo prima della tempesta. L'ingegner Mancini supera la sbarra all'entrata laterale del comprensorio. È coordinatore del settore corsi: li organizza e li struttura. Sono tre anni che i vigili della Capannelle conoscono la sua faccia. Per un anno è stato al Comando di Sondrio. Per un breve periodo è stato anche in Abruzzo, tra i terremotati, dove ha effettuato verifiche di stabilità degli edifici. E poi Mancini è "figlio d'arte": anche suo padre è stato nei vigili del fuoco, comandante provinciale. Mancini non appare strano. Percorre il vialetto, gira in direzione del parcheggio. Lascia la sua Ford Focus grigia e sale in ufficio, al primo piano del palazzone rivestito di marmo.   Passa qualche mezz'ora: lascia la giacca sulla sedia e sale al piano superiore. Vuole parlare col suo dirigente: c'è chi dice per reclamare soldi che dovrebbe avere dall'amministrazione, e c'è chi smentisce questa versione dicendo che non ci sono pagamenti in sospeso. Il segretario lo informa che il responsabile non c'è. Lui insiste, l'altro replica e scatta la violenza. L'ingegnere estrae il coltello dalla tasca. Stende il braccio e sferra i primi colpi: ferisce il poveretto al torace e al volto. Poi aggredisce la segretaria, raggiunta al collo. E mentre urla: «Vi uccido tutti, vi sgozzo». Un vigile cerca di intervenire e viene colpito anche lui. I colleghi sentono, escono dagli uffici, guardano. Le grida raggiungono i piani alti, dai quali si vedono tante teste affacciarsi dal parapetto delle scale. È il panico. Nei minuti successivi al 118 arrivano circa settanta telefonate: «Correte, ci sono feriti, c'è un pazzo, sta accoltellando tutti». Un'ambulanza è fissa nella postazione interna alla Scuola delle Capannelle. Arriva subito. Servono le forze dell'ordine. Partono le chiamate al 112 dei carabinieri. L'ingegnere intanto decide di farla finita col coltello. Lascia l'ufficio. Scende la scalinata, si fionda al parcheggio e sale sulla sua Focus. Comincia il tiro al bersaglio: travolge quattro pedoni, per fortuna senza conseguenze serie. Piombano ai carabinieri. Sono armati, con le pistole in pugno. «Fermati, molla il coltello e scendi a mani alzate». L'ingegnere fa come hanno detto. I militari lo prendono e lo portano nella caserma della stazione Appio. Ci sono pure i medici del 118 e della Scuola. Mancini va su di giri. Si dimena. Dice: «Ce l'hanno con me, tutti sono contro di me». Alle 16 quando esce urla: «Carabinieri, aiuto. Berlusconi ha bloccato tutto». L'auto poi lo porta all'ospedale Pertini. Nella scuola i feriti sono nove: quattro travolti dall'auto, cinque accoltellati. Di questi ultimi, solo uno non è stato ricoverato in codice rosso, avendo subito qualche taglio a cosce e braccia. Gli altri sono entrati in ospedale in gravi condizioni, con squarci a torace, volto e al collo. A spaventare di più le condizioni di Marina Mangione, la seconda persona ad essere stata colpita, finita d'urgenza nella sala operatoria dell'ospedale Figlie di San Camillo, raggiunta da due fendenti, uno dei quali le ha procurato una ferita di 8-10 centimetri sul lato sinistro del collo. «Non ci risulta - spiegano dal Comando del Corpo nazionale - che prima dell'episodio l'uomo avesse avuto discussioni o che alla base del gesto ci siano motivi di tipo economico - ha aggiunto - lavorava qui da cinque anni e si occupava della formazione».  

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