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L'amore in pericolo di Fausto e Lella

Fausto Bertinotti

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Nel nostro immaginario collettivo, Fausto e Lella Bertinotti sono sempre stati un po' come Sandra e Raimondo, come Uccio e Uccia, come due pezzi del cuore ricomposto da Ron English sul muro di Berlino. Inimmaginabile pensarli divisi. Ma ecco che ieri appare mormorante e invitante, su quel cinico collettore di indiscrezioni che è Dagospia, la notizia che il subcomandante Fausto è stato piantato in asso dalla sua dolce metà. Impossibile, incredibile, indicibile, ci siamo detti tutti. Meno male che ieri sera è arrivata secca la smentita di Lella: la vociaccia è stata messa in giro da un tizio, ripresa dal sito gossiparo, ma che lasciati, piccoli litigi privati, stiamo con i nipoti, se volete vi passo mio marito. Meno male. Sennò sarebbe stato il secondo crollo di certezze per il mondo postcomunista dopo quello del Muro, Ron English compreso. Insomma, è pure possibile che dopo quarantacinque anni ci si divida. Ma rileggiamo le parole molto postcomuniste che Fausto dedicava a Lella nella sua autobiografia «Il ragazzo con la maglietta a strisce»: «Nella mia vicenda devo ammettere che la famiglia ha assunto un peso davvero particolare. Vivo da più di quarant'anni con una donna, Lella». Ecco, come si fa a pensar che tutto salti solo per un litigio attorno a Duccio, il figlio dj che ha sposato la figlia di uno di Alleanza Nazionale? Poca roba, non si salta per aria per fregnacce del genere, guarda che scherzi che fanno le malelingue. Insomma, commentando quella pagina, cinque anni fa o giù di là, avevo scritto dell'«acquerello di una famiglia borghese, lontano dai liberi amori della Contestazione e dal mare mosso dei progetti zapateriani», la diade, lui il sindacalista «ex nenniano, ex psiuppino, ex picista e poi rifondatore» (scriveva Oscar Giannino), lei la sua metà ideale, la coppia perfetta per conversazioni perfette e amabili sul destino storico delle masse operaie e su quanto sa di tappo quel Sauvignon, con la leggerezza che è propria solo degli spiriti serenamente consapevoli della propria unicità, del loro essere morbosamente contesi nelle serate che contano. Per questo, per la loro intrinseca e indivisibile amabilità, i Bertinotti si erano guadagnati i galloni di ambitissima coppia del demi-monde, prima, quando Fausto furoreggiava a Rifondazione, durante, quando il subcomandante era diventato subPresidente della Camera e sabotava il governo Prodi, e poi, ai giorni più recenti, quando Bertinotti s'è riscoperto saggista, opinionista, polemista in eterna e disponibile attesa di una finestra d'opportunità per la sua abile retorica. E sulla retorica, su quella erre moscia, sulla storia del cachemire con cui Fausto impreziosisce le sue mise e degli eleganti vestiti di Lella, è sempre calato facile facile l'anatema burino dei benpensanti, perché anche uno «sciopero generale» in bocca a Fausto veniva così ingentilito e raffinato dall'erre moscia da trasformarsi in un allegro happening intellettuale. Tanto che, l'ho ascoltato con le mie orecchie, Bertinotti confessò a Radio Radio che, in verità, i maglioncini della preziosa lana erano gentili e sporadici doni di amici, mentre i vestiti se li comprava in un negozio di Corso Trieste che conosco bene e che, in verità, ha prezzi (e gusti) assai popolari. Poi c'è la storia del Fagioli, dello psicanalista nel cui feudo terapico Bertinotti aveva persino scelto di presentare la sua candidatura alle primarie per la leadership dell'Unione, qualche era politica fa: anche quello non gli hanno perdonato. E chissà come sarebbe stato stralunante rimirare le serate romane osservando Fausto e Lella spaiati, uno di qua l'altra di là, mai assieme, come due personaggi qualsiasi di un cortometraggio morettiano o di un film qualunque di Muccino sulla crisi di coppia. Uccio e Uccia, noi, preferiamo vederli ancora assieme per sfotterli nel loro amabile e invecchiabile modo d'invecchiare. Anzi: pvefveviamo.

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