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Sinistra nel caos, dialogo più difficile

Pier Luigi Bersani

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La strada è ogni giorno più impervia. Il confronto tra maggioranza e opposizione che dopo l'aggressione al premier sembrava aver finalmente imboccato il giusto binario, ha subito negli ultimi giorni un brusco rallentamento. A rendere difficile qualsiasi tentativo di dialogo è soprattutto la situazione interna al Partito Democratico. Pier Luigi Bersani e con lui Massimo D'Alema, infatti, in un primo momento erano sembrati disponibili ad accettare una norma che sgomberasse il tavolo dalla questione più annosa: le vicende giudiziarie che riguardano il presidente del Consiglio. Noi non la voteremo, era il loro ragionamento, ma se si deve fare la si faccia. In fondo, per arrivare ad un compromesso per il bene del Paese, bisogna anche rinunciare a qualcosa. Ma poi sono arrivati gli attacchi di Antonio Di Pietro, le urla di Dario Franceschini, le accuse più o meno velate di inciucismo. E il povero Bersani non ha potuto far altro che tirare il freno a mano. La sua ultima dichiarazione ufficiale è un capolavoro di equilibrismo: il Pd non ha pregiudizi, aspettiamo di vedere cosa farà la maggioranza. Un atteggiamento che ha spazientito, e non poco, la controparte. Tanto che ieri il capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto ha tuonato: «Processo breve, legittimo impedimento e lodo non sono leggi ad personam ma servono a disinnescare l'uso politico della giustizia che ha inquinato il sistema dal '92 ad oggi». «Noi auspichiamo - ha aggiunto - che la grande riforma possa avvenire d'intesa con le opposizioni, ma siamo pronti ad assumerci la nostra responsabilità sia sul legittimo impedimento che sul processo breve. Ciò però non è a nostro avviso preclusivo di un confronto politico che deve riguardare la globalità della riforma sulla giustizia. Su questo noi auspichiamo il massimo contributo dell'opposizione». E ancora: «Si può capire che il Pd dica "io non voto". Diverso se si pone una pregiudiziale: se è così diventa un siluro a tutti i ragionamenti sulle riforme condivise. La situazione è delicatissima. Nel Pd Franceschini tiene la posizione congressuale ribadita a Cortona. Il problema è che non è solo il leader dell'opposizione interna al Pd, ma anche il capogruppo. Prima delle elezioni regionali sarà difficile discutere concretamente». Insomma tutto sembra inesorabilmente rinviato a dopo il voto di fine marzo. Anche perché, nel Pd, sono più coloro che frenano rispetto a quelli che accelerano. «È del tutto evidente - spiega il responsabile Giustizia Andrea Orlando - che se si continua a parlare di leggi che riguardano Berlusconi non si può parlare di riforme che riguardano invece tutti gli italiani». Mentre il vicesegretario Enrico Letta ribadisce che «l'interesse dell'Italia e degli italiani è quello di uscire dalla crisi con riforme che aiutino le famiglie, i lavoratori e gli imprenditori. Inoltre, abbiamo il dovere di rendere le istituzioni piu' efficienti e meno costose. Dobbiamo avere la capacità di scegliere e decidere in modo serio. Il nostro impegno è completo e siamo disposti a lavorare in tal senso, ora dipende dalla maggioranza». E mentre la palla passa da un lato all'altro del campo, il segretario dell'Udc Lorenzo Cesa chiede «scadenze precise» e dimostrazioni che «c'è la reale volontà di aprire questo nuovo corso». Un'occasione per «rompere il ghiaccio» sarebbe, secondo il leader centristra, quella di mettere in campo provvedimenti di ampio respiro per «famiglie, imprese e lavoratori in difficoltà». Ma forse l'unica strada che potrebbe portare qualche frutto è quella tracciata dal segretario del Psi Riccardo Nencini: «Ci vuole un doppio binario. Un'Assemblea costituente per le riforme istituzionali e il normale percorso parlamentare per una legge sul "legittimo impedimento" lasciando che sia la maggioranza ad assumersene la responsabilità com'è giusto che sia».

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