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Di Pietro nuovo Caronte L'opposizione all'inferno

Antonio Di Pietro

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«Omnia vincit amor», avrà pensato il Cavaliere dettando il suo messaggio sul web. Emulava il Virgilio delle Bucoliche, ma ci sarebbe voluto quello dell'Eneide o quello dantesco, l'inquilino vip dell'Antinferno. Perché si fa presto a dire che «dal male può nascere un bene», ma dentro e fuori Montecitorio è tutto un divampare di fuoco e fiamme. Tra i satanassi e i diavoloni, di «incendiari travestiti da pompieri» intravisti da Bersani alla Camera ce ne sono almeno due: non solo quel Cicchitto impegnato a fare un falò di network e «terroristi mediatici» (e a lui si riferiva, prendendone le distanze, il segretario del Pd), ma anche e sopratutto Caronte Di Pietro, che in queste ore, roteando occhi di bragia, fatica come un leader dei dannati a traghettare sopra le sue acque tumultuose le anime in pena dell'opposizione. Davanti a lui è tutto un defilarsi: hai visto mai che ti prendi un colpo di remi sulle natiche? Come Tonino comincia il suo intervento in Aula, se ne vanno quelli del centrodestra. Lui aspetta: «Per rispetto, non vorrei ferire le loro orecchie». E poi intona, con voce ombrosa, il suo canto ostile. Che non scaturisce, spiega, «dall'odio a Berlusconi, ma dall'amore per il nostro Paese». Ma il tono non è qui, virgiliano, catulliano o leopardiano, né semplicemente basso. Con rispetto istituzionale, certo, ma Tonino se ne impippa dei richiami dell'arbitro Napolitano. C'è da giocare duro? Ecco l'entrata a gamba tesa: «Ci battiamo contro provvedimenti che offendono le nostre coscienze. Questo crea odio, questo arma la mano istigata da problemi di una maggioranza e di un governo che piegano il Parlamento a proprio uso». Ecco la gomitata in faccia all'avversario: «Al governo c'è una lobby piduista, e allora non si spacci per violenza la nostra opposizione». Qui vorrebbero nascondersi anche fra i banchi di sinistra. Quando pronuncia la parola «solidarietà» non pensa al premier, bensì «alle persone condannate a morte da Cicchitto». Tanto perché i «toni» della politica vanno remixati a volumi sopportabili. Non bastasse, Carontonino ci mette il carico su "Twitter": «L'amore vince sull'odio? Vorrei fosse così, ma detto da un manipolo di golpisti che brandisce prima il bastone e tende poi la mano...». È una discesa senza ritorno, di cerchio in cerchio, verso l'incendio dell'ira, soffiando su venti che potrebbero accendere scintille nelle piazze, in Rete, nelle università. Gli dà man forte, com'è ovvio, il sodale Donadi, che prima accusa di «ipocrisia» Casini, Bersani e Franceschini, sospetti di aver rinunciato al «nuovo fronte di liberazione nazionale contro Berlusconi», e poi crea di sana pianta un caso attribuendo a Tremonti una frase come «vorrei la morte di Di Pietro». Ci vuole una nota del Tesoro per smentire, e spegnere quest'altro focolaio. Carontonino «batte con il remo qualunque s'adagia»: nessuno dei potenziali alleati elettorali prova ad avvicinarsi. Chi resta al suo fianco? Da Bari, Rosy Bindi spiega a "Il Tempo" che «non rinnega» l'intervista in cui il premier veniva esortato a «non fare la vittima». Però sottolinea: «Non immaginavo che le mie parole suscitassero tanto clamore, quel titolo è stato strumentalizzato. Rinnovo la solidarietà al presidente del Consiglio, e credo che quel gesto sia isolato e non attribuibile a un clima politico. Altrimenti», continua li presidente del Pd, «ne saremmo responsabili tutti, compresi il premier, Cicchitto e quel Brunetta che invitava quelli di sinistra ad andare a morire ammazzati». Un mezzo passo indietro? Sì, ma Rosy resta una scomoda compagna di viaggio per Bersani. Gli manda a dire: «La destra si è fatta riconoscere, noi ancora no!». Di Pietro sembra isolato dall'intellighentia di sinistra: perfino la diabolica Sabina Guzzanti scrive sul blog che «sì, mi ha fatto moltissima pena vedere Berlusconi ferito. Ho visto il volto insanguinato. Ho visto un vecchio ferito. Quando è uscito per vedere in faccia il suo aggressore ho provato anche stima per la fierezza e ho visto anche un politico credo per la prima volta». Parole che neanche la luce trascendente del Caravaggio. Ma: «Quest'uomo è quello che ci avvelena la vita da vent'anni», e bla bla bla, una riga sotto ecco il vecchio florilegio delle accuse al Cavaliere. Sollievo: tutto, ma l'«odi et amo» della Sabina no, grazie.

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