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Berlusconi «Sono preoccupato per i miei figli»

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dall'inviatoGiancarla Rondinelli MILANO «Sono uscito dalla macchina per rassicurare i miei figli. Non volevo che pensassero il peggio, vedendo tutto quel sangue. Ero preoccupato per loro». Ecco perché, domenica pomeriggio subito dopo la violenta aggressione, quando la sua faccia era già una maschera di sangue, il presidente del Consiglio ha voluto fare un gesto istintivo, contro anche la volontà degli uomini della scorta. «Voleva dare un segnale alla sua famiglia». Mentre Lino Banfi lo racconta ha le lacrime agli occhi. Ha appena incontrato Berlusconi nella sua stanza del San Raffaele. I due sono amici da oltre trent'anni ed è per questo che «volevo proprio venire a salutarlo». Terzo giorno in ospedale per il capo del governo: la sofferenza è ancora tanta. Forse anche superiore a quella del giorno prima. Gli ematomi aumentano, «normale» spiegano i medici. Una giornata in cui non si è arrestata la processione delle visite. Ma, vista la sofferenza, stavolta la famiglia ha deciso di evitarle al massimo. «È meglio che riposi». L'umore del Cavaliere non è ancora dei migliori: resta ancora l'incomprensione per un gesto così violento, «nella sua città, nella sua Milano». Così parla con il suo staff, fa qualche telefonata, addirittura resta in contatto con Roma per essere informato sulla Finanziaria. Telefonata anche con il presidente Obama. Per il dolore ancora «persistente» i medici decidono di intensificare gli antidolorifici. E se tutto resta confermato, oggi Berlusconi dovrebbe essere dimesso, tornando finalmente nella sua casa ad Arcore. L'imperativo del suo medico di fiducia Alberto Zangrillo è però quello di «astenersi da impegnative attività pubbliche per almeno due settimane». I suoi non ci credono molto. Anzi, racconta il portavoce Paolo Bonaiuti «dovremo comprare dei canapi per legarlo alla sedia e tenerlo fermo». La notte passa tranquilla. Di mattina presto subito altri esami, controlli su controlli. Alle dieci arriva puntuale il bollettino medico. Il mal di testa resiste, i denti rotti «saranno ricostruiti», per il momento rimarrà con delle bende sulla faccia ma, assicura Zangrillo «non rimarranno cicatrici». È il ministro della Giustizia tra i pochi che ieri sono riusciti ad entrare nella stanza al settimo piano del San Raffaele. Alfano resta con il presidente del Consiglio una ventina di minuti. «È abbacchiato, sì. Non capisce questo gesto». Mollare? «Ma ve lo immaginate voi?», risponde sorridendo Alfano. «È ancora lui che ci spinge ad andare avanti». Berlusconi soffre per il dolore. Ieri ha ripreso a mangiare qualcosa, poca roba e comunque rigorosamente fredda in modo da non dar fastidio alle ferite che ha in bocca. Nella sua stanza, la tv resta spenta. Luce bassa, e telefonate filtrate dalla sua fedelissima segretaria Marinella. Ancora tantissimi i fiori che vengono riuniti in una stanza accanto e poi mandati direttamente ad Arcore: «L'amore vince sempre sull'invidia e sull'odio». Sui recinti dell'ospedale aumentano di ora in ora gli striscioni di solidarietà verso il presidente del Consiglio. Come quello grande attaccato davanti l'entrata principale con al scritta «Forza Presidente», firmato «curva sud Milan». In mattinata c'è anche il parlamentare Lucio Stanca, amministratore delegato della società Expo 2015. Che però non riesce ad incontrare il premier, «sta riposando». Arriva anche il sottosegretario Rocco Crimi, il fratello Paolo Berlusconi oltre ovviamente alle figlie del premier Marina e Barbara. Neanche a farlo apposta, quando la prima lascia l'ospedale, la seconda sta varcando l'entrata. Sono circa le 16.40: Barbara arriva con il suo secondogenito Edoardo nel passeggino, l'ultimo dei cinque nipoti di Berlusconi, nato lo scorso luglio. Tra le due, però nessun cenno di saluto. «Mio padre sta meglio - racconta Marina -. Speriamo che possa davvero uscire domani (oggi ndr)». A fare avanti e indietro dall'ospedale c'è sempre anche l'europarlamentare Licia Ronzulli, tra le persone più fidate del presidente del Consiglio. Nel pomeriggio qualche ora di riposo. Con un un'unica pausa per una chiacchierata veloce con don Gabriele, il parroco vicino da tempo al presidente del Consiglio. «Non sono il sacerdote del partito» tiene a precisare. «Quando i miei ragazzi stanno male io corro da loro». Pochi minuti di visita per don Gabriele, il tempo «di fare una benedizione, la cosa più bella che possa portare un sacerdote». Sul ritorno a casa, dovrebbe avvenire intorno all'ora di pranzo. Tutti gli impegni in agenda cancellati. Per ora la cosa più importante per la sua famiglia è farlo riposare, riuscendo magari a tirarlo anche su di morale. Ieri pomeriggio intanto, ci ha pensato Lino Banfi a fargli fare una risata. «Sono venuto a salutarti come Pasquale Zagaria», dice l'attore comico al premier. «Poi però mi sono ricordato che Zagaria è un ricercato per mafia, e così gli ho detto che forse era meglio evitare quel nome, visto il clima…». E il premier sorridendo: «Non mi far ridere, non posso…».

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