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Niente scherzi sul nucleare

centrale

"Primo impianto in Veneto"

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Il partito del no è risorto. E ha detto no, ancora una volta, al ritorno del nucleare italiano. Anche a costo di inventare notizie false. Così è stato ieri quando il presidente nazionale dei Verdi, Angelo Bonelli, ha dato una lista di siti sui quali Enel vorrebbe realizzare 4 centrali nucleari. Un falso clamoroso smentito dalla società elettrica. Il sottosegretario Saglia: «Andremo avanti malgrado le strumentalizzazioni».  Ebbene secondo gli epigoni del «Sole che ride», che nel 1987 staccarono la spina a tutto ciò che sapeva di atomo nel Paese, le località deputate ad accogliere i quattro nuovi impianti previsti dal governo Berlusconi potrebbero sorgere a Montalto di Castro (Vt), borgo Sabotino (Lt), Garigliano (Caserta), Trino Vercellese (Vercelli ), Caorso (Piacenza), Oristano, Palma (Agrigento)e Monfalcone (Gorizia). Un'indicazione seccamente smentita da Enel che ha precisato di non aver inviato al Governo alcun dossier con le proposte. E per un motivo molto semplice che forse è sfuggito all'ecologista. E cioè che il suggerimento delle aree su cui mettere centrali nucleari sarà dato solo quando l'esecutivo scriverà il protocollo per scegliere i luoghi. Un insieme di regole che escluda ad esempio i territori con rischi sismici e quelli derivanti dall'attività vulcanica. Una mappa facilmente intuibile (anche per questo Conti ha spiegato nei giorni scorsi che non svelerebbe nemmeno sotto tortura le sue idee in proposito) ma che non ha alcun valore senza il suggello di Palazzo Chigi e delle autorità competenti. È bastato però qualche articolo di giornale che ha semplicemente ipotizzato che le nuove centrali saranno localizzate nei vecchi impianti abbandonati dopo il referendum (logico: erano validi allora perché non oggi) a far scattare i paladini della conservazione dell'ambiente. Oltranzisti che non tengono però conto di dati economici e geografici del Paese. Il primo è che la mancanza nel mix di fonti di produzione di nucleare determina un costo del chilovattora più alto rispetto ai partner comunitari. E dato che l'Italia ha una composizione produttiva a forte presenza manifatturiera questo gap penalizza il costo dei prodotti italiani. Così senza energia nucleare si spinge inesorabilmente fuori dal mercato internazionale molta della nostra merce. Con un prezzo da pagare in termini di posti di lavoro. Per non parlare della ricerca. Completamente abbandonata dopo che i grandi fisici italiani hanno sviluppato la base teorica dello sfruttamento dell'atomo. Capitale intellettuale completamente svanito e che ha relegato l'Italia da leader a fruitore di impianti costruiti in Francia, Inghilterra e Usa. Ma tant'è. Lo spauracchio di Chernobyl fa ancora presa sulla coscienza di molti cittadini. E cavalcarlo può portare vigore all'istanza ambientalista più radicale. Forse come detto è ancora presto per parlare dell'operatività del nucleare italiano. Ma la veemenza con il quale si è riaperto il dibattito è la spia del fatto che si vuole portare il tema nell'agone elettorale delle imminenti elezioni regionali. La sinistra ha perso molto appeal sui territori e imbracciare il vessillo dell'antinuclearismo può portare consensi. Forse è questa la strategia. Infine i territori. Sono stati citati senza grandi novità dal presidente dei Verdi. Che anche qui pecca di mancato adattamento al mutato contesto culturale. Chi ha detto infatti che qualche Comune italiano che rientra nei parametri di sicurezza non voglia approfittare dei vantaggi, tanti e indiscutibili, derivanti dall'ospitare un impianto sul proprio suolo. Ecco il problema va rigirato. Forse prima di dire dove vanno posizionato gli impianti andrebbe aperta una competizione proprio tra chi vuole cancellare all'ingresso dei propri agglomerati il cartello: «Territorio denuclearizzato». Sì perché la sicurezza e la tecnologia hanno fatto passi da gigante. La mentalità dei cittadini è cambiata. Solo i Verdi e il Partito del No non cambiano mai.  

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