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Giustizia, prove di dialogo col Quirinale

Napolitano e Berlusconi

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L'incognita al momento è il Quirinale. O almeno è l'incognita di maggior peso. Il Pdl va avanti sul fronte giustizia. Avanti con il processo breve, avanti con il lodo Alfano costituzionale e avanti anche con la ruota di scorta della nuova legge sul legittimo impedimento come aveva suggerito Casini. I problemi veri restano nel rapporto tra presidente della Repubblica e presidente del Consiglio. I due si sarebbero dovuti incontrare ieri sera alla prima della Scala a Milano, ma Berlusconi ha lasciato perdere. Neanche stavolta. Eppure il teatro meneghino poteva portare in scena una riappacificazione almeno formale tra il Colle e Palazzo Chigi visto che di una possibile presenza del Cavaliere alla prima s'era vociferato nei giorni scorsi.   La mediazione comunque procede. Tra molti stenti. Il gelo è calato la sera della bocciatura del lodo Alfano, quando Berlusconi accusò Napolitano di essere di parte. Si sentiva tradito dal Capo dello Stato dal quale riteneva di aver ricevuto informalmente garanzie che lo scudo ai processi sarebbe passato al vaglio della Corte Costituzionale. I primi tentativi di ricucitura sono state tentati, ovviamente, da Gianni Letta. Che si recò a Napoli a metà novembre per partecipare a un evento al quale il Capo dello Stato teneva in modo partitolare: la presentazione della fondazione Maurizio Valenzi. Più tardi, il 23 novembre, è stato il presidente del Senato, Renato Schifani a salire sul Colle. Quattro giorni dopo il Capo dello Stato ha pronunciato parole inequivocabili soprattutto quando ha sottolineato che «nessuno può abbattere un governo che abbia la fiducia della maggioranza del Parlamento».   Una frase che alla gran parte del mondo politico è suonata come uno stop all'assalto della magistratura. Ora non è difficile pensare che anche al Quirinale si attendono un segnale da Palazzo Chigi. Che certamente arriverà. Quando? Di sicuro la partita diplomatica si intreccia con quella delle riforme in arrivo. Il Senato dovrebbe varare prima di Natale il testo sul processo breve anche se almeno tre punti sono considerati «critici», nel senso che è difficile che Napolitano - una volta chiamato in causa per la firma - possa far finta di nulla. E sono anche i punti critici sui quali c'è stata qualche obiezione (non a caso) di Carlo Vizzini, che è il presidente della commissione Affari Costituzionali. Si tratta della disparità di trattamento tra italiani e immigrati (che Fini ha chiesto di far togliere), quella tra incensurati e recidivi (che l'ala finiana aveva invece chiesto di far inserire) e le norme transitorie. In questo terzo punto c'è anche una parte che riguarda direttamente il presidente del Consiglio visto che si parla, tra l'altro, dei processi in corso; ma almeno questo capitolo non dovrebbe essere a rischio «non firma» sul Colle. Il processo breve verrà incardinato subito, l'intenzione del Pdl è quella di farlo approvare dalla commissione Giustizia prima della pausa natalizia, in Aula andrebbe il 12 gennaio e prima della fine del mese, nella migliore delle ipotesi, dovrebbe avere l'ok anche di Montecitorio. In un primo momento si era pensato di fare le modifiche delle parti a rischio alla Camera ma si perderebbero giorni preziosi. Dunque, è possibile chei cambiamenti vengano inseriti già nel primo esame a Palazzo Madama. All'inizio dell'anno bisognerà impegnare anche la seconda strada, l'approvazione del lodo Alfano come legge costituzionale. Ma anche qui i tempi non sono stretti bensì risicati. Perché, essendo legge che incide sulla Carta, ha bisogno della doppia lettura (Camera e Senato) con pausa di tre mesi. Nella migliore ipotesi è difficile che ce la si possa fare per l'autunno per quando cioé la Corte Costituzionale potrebbe aver già deciso sul processo breve e, in caso di bocciatura, il premier potrebbe correre il rischio di trovarsi scoperto, senza scudi o altro. A piccoli passi si tenta il riavvicinamento tra Berlusconi e Napolitano. Con Fini invece il discorso è diverso. La linea dettata dal Cavaliere è una sostanziale non curanza delle sortite del presidente della Camera. Anche ieri Fini è tornato a ribadire la sua contrarietà all'esclusione degli immigrati dal processo breve e nessuno del Pdl gli ha replicato. Solo una nota del gruppo al Senato, presieduto da Gasparri, che puntualizza: «Fini non è contrario all'esclusione dei delitti di immigrazione dall'elenco contenuto nella proposta contro l'irragionevole durata dei processi. La questione si limita alla parola delitti, da mettere al posto di reati. La questione è nota e quindi gestibile». Punto e basta, nessuna polemica. Solo una rimarcatura dell'«irrilevanza» delle parole di Fini.  

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