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Non se ne può di falchi e colombe, di pontieri e di sfasciacarrozze, di pacificatori e guerrafondai.

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Senel Pdl si avverte l'esigenza di chiarire, discutere, confrontarsi al fine di raggiungere una dignitosa intesa tra le parti, tale da garantire al partito una navigazione meno perigliosa nelle acque della politica italiana, Berlusconi e Fini non hanno da fare altro che incontrarsi e mettere giù un programma che impegni tutte le componenti del centrodestra fino alla conclusione della legislatura. Non vi è altra strada per riaffermare le ragioni che hanno portato alla costituzione del soggetto politico al quale guardano milioni di italiani i quali, diciamolo senza tanti giri di parole, sono frastornati alle polemiche delle ultime settimane e vorrebbero vedere i due leader se non proprio affettuosamente uniti, quantomeno legati dal comune intento di riformare le istituzioni e dare fiducia al Paese. Vasto programma, avrebbe detto il generale De Gaulle. Ma non ce n'è un altro per dare un senso ad un'operazione che, per quanto nata maluccio, ha comunque un significato politico profondo: rappresentare l'Italia (maggioritaria) che si riconosce in alcuni fondamentali ed irrinunciabili valori di fondo. Perciò, al di là delle gherminelle tra i gruppi e delle ben più impegnative distinzioni emerse negli ultimi giorni, crediamo che i "co-fondatori" del Pdl abbiano un disperato bisogno di parlarsi da soli, senza ingombranti testimoni, con la chiarezza che può scaturire soltanto da un dialogo che non abbia altro scopo se non quello di ricomporre le fratture. Certo, non è facile. Ma se all'opera si mettono altri soggetti i quali, sia pure in buona fede, riferiscono poi all'uno e all'altro interpretazioni difformi di parole, umori e stati d'animo, il Pdl è fritto una volta per tutte. Abbiamo sempre diffidato dei contrapposti "ambasciatori" ed ancora di più di coloro che fanno credere di esserlo. In questa fase sarebbe nefasto se i sullodati soggetti si ergessero ad autentici esegeti delle intenzioni dell'uno e dell'altro. Resta il problema, non secondario, di chi deve prendere l'iniziativa. E sul punto non ci permettiamo di dare consigli che sarebbero comunque sconvenienti. Tanto Berlusconi che Fini sanno che i loro destini politici e quelli del Pdl sono intrecciati. Mandarli a monte non conviene a nessuno. La pacificazione non è un atteggiamento estemporaneo ed occasionale quando la politica si fa aspra, ma uno stile da tenere in ogni occasione poiché da essa dipendono perfino i confini da porre alle diversità di opinione che inevitabilmente in una coalizione o in un partito si possono manifestare. A patto, però, che si abbia ben chiaro come devono funzionare le regole e su quali basi poggia l'aggregazione di soggetti diversi che hanno sposato la stessa causa. Perciò diffidiamo dei "bonificatori" i quali, ancorché senza malizia, ma forse spinti dall'umana debolezza di "apparire", di ottenere visibilità, di esercitare un protagonismo talvolta improprio, si lasciano trasportare da un ruolo che nessuno si è mai sognato di conferirgli. Berlusconi e Fini si conoscono troppo bene. Possono non amarsi, ma devono intendersi sul partito, sul governo, sul programma da attuare e sulla "missione" che il "loro" centrodestra, per mandato ricevuto dagli elettori, è obbligato ad adempiere. Il resto serve ad eccitare la fantasia di "tifosi" estranei, distanti e lontani, interessati soltanto al litigio permanente per riempire il vuoto in cui nuotano.

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