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Esplode l'ira di Silvio: "Si dimetta"

Il premier Silvio Berlusconi

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Era su di giri. Contento. Divertito. Divertito per esempio dalla visita in Bielorussia, l'incontro con il presidente (quasi dittatore) Aleksander Lukashenko, quell'esibizione di potere che lo ha sempre affascinato: da Gheddafi a Putin. Ma Silvio Berlusconi era contento anche da prima. Almeno da giovedì scorso, quando si era riunito l'ufficio di presidenza del Pdl che si era concluso con una nota eloquente che riconosceva per esempio che «una esigua parte della magistratura dimentica l'imparzialità» e che «è saltato l'equilibrio tra i poteri dello Stato» disegnato dalla Costituzione. Era a tal punto contento che negli ultimi giorni Berlusconi l'ha ricordato più volte ai parlamentari che ha avuto modo di sentire al telefono: «Avete visto? Quel documento del Pdl è stato votato all'unanimità. All'unanimità, capito?». E a chi obiettava che è ben difficile che nel partito fatto a immagine e somiglianza del Cavaliere qualcuno si metta a votare contro di lui, Silvio s'è inalberato: «Ma non vi rendete conto, allora. Hanno votato per me anche Bocchino e Urso», riferendosi ai due finiani doc che erano presenti alla riunione. Insomma, un altro Berlusconi. Talmente su di giri che si sentiva ringiovanito, tornato indietro nel tempo. Che aveva ripreso a lavorare nella sua tanto amata Milano a dispetto della Capitale che negli ultimi tempi gli ha dato soprattutto pensieri tanto da costringerlo anche a fare lavori per mettere meglio in sicurezza Palazzo Grazioli vulnerabile come mai. E così nel capoluogo meneghino aveva chiesto si svolgesse l'incontro con Herman Van Rompuy, il belga pressocché sconosciuto appena diventato presidente dell'Unione Europea. Ed è proprio all'ora di pranzo che Berlusconi viene a sapere del fuorionda del presidente della Camera. Quando lo vede il premier trasecola. Sbotta. S'infuria. «Si deve dimettere, non può più restare. Si dimetta. Subito», ripete più volte. E lo ripete anche al telefono ai dirigenti del Pdl che lo raggiungono al telefono. Anche se nessuno ben comprende a che tipo di dimissioni pensi Berlusconi. Dimissioni da presidente della Camera? O dimissioni dal partito, sebbene Fini non ricopra nessun incarico e benché non lo si possa espellere visto che il tesseramento è appena cominciato? Il Cavaliere, forse ancora memore del faccia a faccia con Lukashenko, decide di fare una dichiarazione pubblica. Poi viene dissuaso. Si pensa a una nota del portavoce, Paolo Bonaiuti. Ma anche questa ipotesi viene scartata visto che una dichiarazione dello spokesman del governo contro il presidente di un ramo del Parlamento non sarebbe da democrazia occidentale. Passano le ore, Berlusconi viene lentamente convinto da Denis Verdini a utilizzare il partito. Esiste il partito. È il partito che deve difendere il premier. E una posizione del partito metterebbe maggiormente in difficoltà Fini, che del Pdl è il co-fondatore. Certo, anche il presidente della Camera ce ne mette del suo visto che nel corso delle ore rettifica soltanto una sua dichiarazione di quelle del fuorionda. Ovvero quella che riguarda Nicola Mancino. Non solo, ma si premura anche di telefonare al vicepresidente del Csm per chiarire il senso delle sue parole e anche che non si riferiva a lui ma a Ciancimino. «Ma come? Chiama Mancino per scusarsi e a me neanche una telefonata?», insiste Berlusconi con i fedelissimi. E allora, avanti. A carro armato. La situazione è tesissima. C'è imbarazzo persino tra molti ex An, anche tra alcuni dei finiani doc che non se la sentono di prendere le difese del presidente della Camera. D'altro canto quelle frasi così pesanti fanno impressione se pronunciate così, senza alcuna mediazione rispetto anche a quelle dure dette da Fini appena dieci giorni fa a Che tempo che fa di Fabio Fazio e che pure ribadivano gli stessi concetti. Circola l'ipotesi di una mozione di sfiducia da presentare a Montecitorio contro il presidente. Sono ipotesi. Solo ipotesi. Sono anche la fotografia del clima. Clima di fuoco nel momento forse più delicato per Silvio Berlusconi. Nella settimana in cui si trova ad affrontare una nuova udienza per la sospensiva del lodo Mondadori che lo ha già condannato a pagare 750 milioni di euro alla Cir di Carlo De Benedetti. E nella settimana in cui si dovrà sorbire le dichiarazioni in aula al processo Dell'Utri del nuovo pentito di mafia, Gaspare Spatuzza, che lo accusa persino di aver avuto un ruolo nelle stragi di mafia del '92. Eppure, Berlusconi non sembra molto preoccupato del siluro che gli può arrivare sul fronte mafia. Sa che gli italiani difficilmente crederanno a quelle dichiarazioni. Certo, si dovrà beccare un po' di copertine di giornali internazionali che non vedono l'ora di tornare a dipingere l'Italia tutta spaghetti e picciotti. Ma ora no. È il momento di serrare i ranghi, ragiona il Cavaliere. Non sono ammesse defezioni. Per questo non sopporta quei distinguo di Fini. Quel cinguettare, perché grosso modo così lo giudica, con i magistrati. In serata la svolta, la nota del Pdl che chiede al presidente della Camera di dare spiegazioni. Ora la palla è nel campo di Fini. Anzi, a voler usare un'altra metafora sportiva, Berlusconi vede Gianfranco nell'angolo. Il che alla fine per lui potrebbe essere anche un fatto positivo. È improbabile torni a tuonare contro Silvio. Almeno per un po'.

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