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«Massimo è stato bocciato da Zapatero e Gordon Brown»

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.Gianluca Susta è eurodeputato del Pd ma, soprattutto, è il vicepresidente dell'Alleanza progressista dei Socialisti e Democratici. Cioè uno dei vice di Martin Schulz. E non è d'accordo quando il capogruppo racconta a Repubblica che la mancata nomina di Massimo D'Alema sia da imputare ad un mancato lavoro da parte dell'esecutivo italiano. «Nessuno può negare - spiega - che stavolta governo e opposizione abbiano lavorato insieme. Dalle notizie in nostro possesso il ministro degli Esteri, quello delle Politiche comunitarie, il premier, gli eurodeputati, tutti si sono mossi bene. Dobbiamo difendere questo fatto. Nessuno ha lavorato contro D'Alema. La verità è un'altra». Quale? «La mancata nomina di D'Alema va imputata ad una valutazione dei capi di governo socialisti che hanno preferito "giocare in casa", piuttosto che puntare su una figura molto forte ma che in Italia sta all'opposizione». Allora la versione di Schulz? «Nessuno può pensare che Schulz, da solo, potesse modificare le decisioni dei capi di Stato socialisti. Non ha tradito nessuno, si è semplicemente rimesso alla volontà di chi governa». Non crede che abbia pesato anche un certo ostracismo nei confronti del Pd? In fondo voi non siete espressione dell'«ortodossia» socialista. «Non vedo alcun tipo di ostracismo. I Socialisti ci considerano come la loro famiglia in Italia. Il fatto è che noi rappresentiamo qualcosa di più. L'Asde non è altro che il vecchio gruppo del Pse "allargato" alla delegazione italiana del Pd, la cui consistenza ha ben giustificato il cambiamento del nome. Ma loro continuano a ragionare da famiglia socialista». E questo vi penalizza? «Noi oggi siamo al guinzaglio di Zapatero e Gordon Brown. Se sei espressione di un partito di governo puoi ambire a certe cariche, altrimenti no. Ma non possiamo non chiederci se questo ha un senso. D'Alema è stato bocciato perché non rappresentava gli interessi compiuti di Zapatero e Brown. E noi che ci stiamo a fare al loro guinzaglio?» Crede che dopo quanto accaduto cambierà qualcosa? «Io credo che non vada sottovalutato il grado di disagio e inquietudine che c'è. Anche perché noi abbiamo già pagato il nostro prezzo per arrivare sin qui. Penso soprattutto a chi, come me, non proviene dalla storia socialista e della sinistra. Ormai siamo al confine, tocca a loro fare un passo avanti». Lo faranno? «Faccio fatica a pensare che 26 delegazioni siano agitate a causa del malessere italiano». Quindi non vi ascoltano e non vi ascolteranno? «Non è che non ci ascoltano. Non è la prima volta che noi poniamo delle questioni, ma sono il Pse. Hanno una loro dimensione, una struttura, una liturgia, un linguaggio. È difficile fargli capire la novità italiana. La verità è che l'Europa è ancora ferma alle famiglie del '900. Il Pse non pensa ad un'Europa comunitaria, ma lavora per un'unione minimale, intergovernativa. E per uno che, come me, viene dalla tradizione liberal-democratica e ha l'europeismo come bandiera, il disagio è evidente. Il trattato di Lisbona sta per entrare in vigore e ci costringerà ad un "cambio di marcia". Altre famiglie europee sono pronte, noi stiamo dalla parte di chi frena».

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